Santa Restituta oltre ad essere credenza è appartenenza.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante fiore e attività all'aperto

A cavallo del 1800 e 1900 molti ischitani lasciarono lo scoglio in cerca di una vita migliore. Anche da Lacco Ameno che era il più piccolo dei comuni dell’isola partirono tantissime famiglie. Tre fratelli di mio padre, rimasti orfani di madre, non ancora maggiorenni lasciarono il paese. Tutti i fratelli di mia madre partirono anch’essi, rimase solo lei che era la più piccola per accudire la vecchia mamma ormai intrasportabile. La gran parte di essi stazionarono a Brooklyn per poi distribuirsi per gli States. La comunità lacchese rimase compatta e proprio la fede verso la Santa patrona li teneva uniti. Ogni 17 di maggio organizzavano i festeggiamenti in onore della Santa. Raccoglievano una cospicua somma di dollari e puntualmente la spedivano alla chiesa madre per i festeggiamenti nel paese nativo. Quando con la mia impareggiabile moglie, costruimmo il Residence a Baia Sorgeto sotto la prima pietra deponemmo l’immagine dell’amata protettrice. Mi recai a Casamicciola da “Gelormino” Ceramica Mennella, amico dei miei zii, per far riprodurre su ceramica la sacra effigie. Ricordo ancora l’impegno profuso dal bravo Antonio Iacono per la realizzazione di essa. La feci benedire da Don Pietro e l’ho tenuta custodita gelosamente per vari anni. Con la realizzazione della struttura ricettiva scelsi l’angolo più in vista per collocare la preziosa immagine, in modo che anche i passanti che si recavano alle fonti calde della Baia la venerassero. Girando per l’isola d’Ischia se si incontra una statuetta, un’immagine di Santa Restituta, significa che da quelle parti abita un lacchese. Proprio di fronte all’edicola della Martire ho sistemato una panca in legno e ferro, esposta a Sud. Molto spesso in compagnia di un buon libro, anche nei mesi invernali, quando c’è un raggio di sole prendo posto davanti alla sacra effigie. Fra una pausa e l’altra, chiudo gli occhi, il sole mi riscalda la fronte, penetra attraverso le palpebre degli occhi chiusi e irradia piacevolmente tutto il corpo, mi rilassa, mi rigenera. Con gli occhi chiusi ascolto il suono delle campane di mezzogiorno della chiesa di San Leonardo unitamente a quelle della chiesetta in tufo verde dedicata a San Ciro al Ciglio e a quella di Succhivo. Le campane espandono le note dell’Ave Maria di Schubert e l’Ave Maria di Lourdes, la dolce melodia invade la vallata delle Fumerie fino alla costa che abbraccia Baia Sorgeto, la Costa del Capitano e Sant’Angelo. Il silenzio è totale, di tanto in tanto arriva il canto di un gallo lontano. Il profumo degli alberi di limoni e delle campanule gialle (zucamelle) che punteggiano la campagna circostante si amalgama con la fragranza della salsedine del mare poco lontano. Da una delle casette bianche appollaiata sul costone che porta alla Baia arriva l’incantevole melodia di Hallelujah di Leonard Cohen eseguita magistralmente per arpa e violino: la sensazione è sublime, una pace profonda mi libera lo spirito , vado in apnea, la mente vola…! All’improvviso un vento freddo mi assale, una nuvola copre il sole e rompe l’incanto! www.peppinodesiano.it

Il falò del 17 gennaio a piazza Santa Restituta

Il 17 di ogni mese nella chiesa di Santa Restituta ricorreva il giorno dedicato alla commemorazione della Santa. Quello del 17 gennaio era un giorno speciale perché oltre a celebrare la Santa Patrona era la festa di Sant’Antonio Abate. Don Pietro con i suoi più stretti collaboratori sceglieva l’angolo della piazza più riparato dove accatastare il legno vecchio da ardere. Già dal giorno prima cominciavamo a portare le “fascine” e tronchi secchi che si trovavano sulla spiaggia oppure nelle campagne e stradine circostanti il paese di Lacco Ameno. Dopo la funzione in chiesa aspettavamo con eccitazione l’accensione dell’enorme falò e osservavamo con stupore e meraviglia le faville che salivano verso il cielo accompagnate dallo scoppiettio degli arbusti. Il fuoco spandeva calore tutt’intorno e quelle fiamme avevano un’attrazione ipnotica su noi piccoli. Era il periodo più freddo dell’anno ma nello stesso momento le giornate iniziavano ad allungarsi ricordandoci che la primavera incominciava lentamente a fare capolino. In mancanza di televisione o di altri spettacoli ricreativi questo era un momento di divertimento e di aggregazione che ci riempiva di contentezza perchè eravamo appagati in quanto la nostra collaborazione era stata essenziale per il buon risultato dell’avvenimento.

L’epifania tutte le feste porta via

Il 6 gennaio per noi piccoli era la giornata più triste delle vacanze natalizie perchè oltre al ritorno a scuola non potevi nemmeno goderti quel poco di doni che aveva portato la befana. Babbo Natale non esisteva e nemmeno la consuetudine dell’albero di Natale. La festa era tutta religiosa. Dopo la ricorrenza dell’Immacolata, all’inizio della novena di Natale coi miei amici andavamo nel bosco vicino casa o nella selva “Soprammezzavia” in cerca di rami rigogliosi di piante sempreverdi: dalla mortella al corbezzolo e muschio per addobbare il presepe. La struttura di esso era sempre uguale: in angolo a destra c’era la capanna ricavata dai sugheri di scarto trovati sulla spiaggia e di lato la discesa per i re magi ottenuta da rami secchi ricoperti di muschio. Intorno, sul davanti, c’era l’immancabile Benino che pascolava le pecore. Dietro la capanna per mascherare una parete o un mobile collocavamo folti rami di pino dove appendevamo mandarini e arance. Sopra la capanna c’erano i rami di pungitopo con l’ovatta che creava l’effetto neve. Durante il periodo natalizio si sostava davanti al presepe aggiustando e abbellendolo con i pastori di terracotta che erano sempre gli stessi. Con l’immaginazione andavi in quella grotta dove giaceva il Bambinello coperto di uno cencio bianco riscaldato dal fiato del bue e dell’asinello. Quando giungeva il sei gennaio era un trauma perché oltre a finire le vacanze scolastiche dovevi privarti di quel paesaggio costruito con amore e impegno tempo prima. Già la mattina del 6, dopo aver aperto la calza che la befana aveva riempito di noci, fichi secchi, qualche moneta di cioccolata ricoperta d’oro e l’immancabile carbone avvolto nella carta della pasta, si smontava il presepe deponendo con cura i pastori in una scatola a dormire per un anno intero. Il muschio veniva deposto nel terreno del giardino di casa mentre i rami secchi di lauro e mortella servivano alla nonna che preparava un profumatissimo braciere per i giorni a venire.