
Le colline ischitane, anche le più impervie, erano tutte terrazzate ed era molto faticoso raggiungere la cima: nemmeno i muli riuscivano ad arrivare in quei posti. I contadini, con tenacia e maestria, cercavano di rubare più terreno possibile alla montagna terrazzando, a mano a mano che salivano, gli spazi proibitivi che formavano le cosiddette “catene” fortificandole con pietre di tufo, a secco, ottenendo così dei muri di contenimento chiamati “parracine”.
Le colline, le pendici del monte dell’Epomeo erano sotto il controllo dei proprietari; la vite coi suoi grappoli dorati era la regina incontrastata, mai un incendio doloso!
I massi di tufo venivano trasformati in abitazioni e tante volte in fresche cantine, i cellai, dove si custodiva il vino che doveva riposare lontano dai rumori e protetto come il sonno di un bambino.
Già ai primi di settembre i contadini cominciavano ad armeggiare nelle cantine. Data la carenza d’acqua dolce, le botti di tutte le grandezze si portavano in riva al mare per la normale pulizia. I contadini avevano un bel da fare. Lungo le spiagge e i moli c’erano file di botti che venivano pulite e riempite di acqua di mare in modo che il legno si gonfiasse e non ci fossero perdite al momento di conservare il sacro nettare poi venivano lasciate all’aria, colme d’acqua, per parecchio tempo. Un ruolo importante nella pulizia delle botti l’avevano i bambini che, per la loro agilità, dovevano penetrarvi e sfregare con rami di mirto le pareti di esse. A fine operazione, le botti belle e pulite venivano collocate nella cantina nel loro posto abituale aspettando l’arrivo del vino novello.
Le spiagge che qualche settimana prima erano affollate da bagnanti, barche, canotti cedevano il posto a botti di tutte le dimensioni che venivano trasportate da muli o asini attraverso anguste mulattiere che scendevano dalle colline del Fango o Mezzavia fino al mare. Anche i cani, che con i loro padroni abitavano lontano dalle spiagge, erano felici di sguazzare fra l’acqua e la sabbia rincorrendosi fra di loro. I muli e gli asini trovavano refrigerio in un bagno rinfrescante nelle acque davanti alla “Pretagross”, per asciugarsi si rovesciavano col dorso nella sabbia calda riempiendo l’aria di mille disegni con le lunghe zampe.
Per noi bambini la vendemmia era un avvenimento, una festa, si veniva coinvolti tutti: amici, parenti, ognuno aveva una vigna di proprietà o in fitto, non c’era terreno incolto!
Con i miei cugini mi recavo nella proprietà di mio zio Tommaso che possedeva un grosso appezzamento di terreno che confinava con la proprietà di don Carlo Piro. La località abbastanza pianeggiante era chiamata “Ballano”. Essa si arrampicava dolcemente con dei terrazzi fin su in alto, a mezza altezza tra la località “Pannella” dove si trovava una enorme cantina scavata nel tufo, a ridosso della collina. Davanti all’ingresso c’era un largo spazio ombreggiato da un rigoglioso pergolato d’uva rossa e bionda. A mezzogiorno si allungavano delle “tavole di ponte” appoggiate su dei tini di legno rovesciati in modo da formare una grossa tavolata dove venivano adagiate le vivande: una fumante pasta e fagioli con cotica di maiale, “auglie e crastaurielli” (aguglie e costardelle) fritti, accompagnati da fettine di cipolla fresca. Insalate di pomodori appena raccolti arricchite con patate lesse, cipolle bianche e rosse, sedano, cetrioli, peperoni, peperoncini dolci verdi (che mangiavo solo in queste occasioni) e abbondanti fette di pane appena sfornato dal forno che si trovava antistante la grotta. Noi bambini bevevamo l’acqua piovana fresca della cisterna allungata con qualche gassosa in caraffe di terracotta mentre per gli adulti era a disposizione “saccapanna” custodita in lavatoi di muratura con pezzi di ghiaccio.
La cantina la si raggiungeva internamente alla proprietà attraverso irti sentieri e gradinate strette di tufo. Per fortuna il terreno aveva anche un accesso dalla strada comunale che da Mezzavia portava al Fango passando per la località Pannella. Per evitare gli scomodi scalini di pietra con il carico dei tini sulle spalle, i trasportatori preferivano inerpicarsi attraverso il sentiero pubblico formato da lunghi scaloni per trasportare l’uva fino alla cantina. Il portone della vigna, in quel periodo, era sempre aperto e molti passanti entravano per scambiare due chiacchiere e fare una bevuta di “saccapanna” trovando refrigerio lungo la stradina soleggiata che portava al Fango.
Tutt’intorno echeggiavano canti, risate e grida festose dei partecipanti alla vendemmia, dagli anziani della famiglia ai bambini. Noi piccoli venivamo utilizzati per raccogliere da terra i chicchi d’uva che erano sfuggiti agli adulti. Ogni partecipante portava con sé forbici o coltelli da tasca che in genere servivano per tagliare il pane. La fatica per i più grandi era enorme ma veniva addolcita dall’allegra compagnia e dal vinello.
Più tardi negli anni, coi miei amici ormai adolescenti, anche se non abituati a simili fatiche, per arrotondare il nostro magro bilancio ci offrivamo come trasportatori di tini colmi di grappoli d’uva che dal vigneto trasportavamo a spalle fino alle stradine dove c’erano i muli ad attendere il nostro prezioso carico. Il più delle volte prestavamo la nostra opera nei terreni che si trovavano sulla collina di Monte Vico. I sentieri per raggiungere le catene, lì, erano sconnessi, scavati dalle piogge; era molto facile che qualcuno di noi scivolasse con il peso che portava sulle spalle, con le risate di scherno dei compagni. Anche questi momenti di grande fatica venivano affrontati con allegria e il piacere di stare tutt’insieme e guadagnare qualcosa per passare le feste di Natale con qualche soldo in tasca. A sera, dopo una lunga giornata, scendevamo attraverso un antico passaggio che da Monte Vico portava giù alla baia di San Montano dove sguazzavamo nelle acque termali calde del “puzzillo”.
Con l’evoluzione del turismo, negli anni, quando i palmenti erano colmi dei preziosi grappoli d’uva, s’invitavano turiste tedesche a “carcare” (pigiatura) l’uva concludendo la fatica in un propizio baccanale con la complicità del vino dell’anno precedente!
Oggigiorno gli appezzamenti di terreno dedicati alla coltura della vite si sono assottigliati notevolmente. Il cemento ha preso il sopravvento, chi ancora cura la vigna non vinifica più, si preferisce vendere il raccolto alle case vinicole dell’isola…i tempi cambiano!