“Curnut e mmazziat” “oltre al danno la beffa” in Italiano.

Uno dei personaggi che hanno animato la nostra infanzia è stato “Ciccill u’Macon” conosciuto anche come “Francisc e pasticciott”. Secondo di sei fratelli e una sorella. Abitava nel rione Ortola, dei sei fratelli era quello che si è distinto di più nella sua famiglia e anche fra gli abitanti di Lacco per ingegno e magnanimità. Come si suol dire era “nu cap’popolo” e il professore Mennella (sindaco di Lacco) lo capì subito attirandolo dalla sua parte. Fu fra i pochi lacchesi a vedere lontano: organizzò per proprio conto un’agenzia di pompe funebri, una stazione di servizio Esso, la raccolta rifiuti e altre iniziative.

Con l’avvento dell’epoca del Comm. Angelo Rizzoli e la maggiore affluenza di turisti nel paese, oltre al benessere, aumentò anche la quantità di spazzatura e Ciccill pensò bene di acquistare un camion per raccogliere i rifiuti di Lacco. All’inizio il carico veniva scaricato in uno dei “cavoni” del Cretaio a Casamicciola, ma poi si pensò di riempire la cava che si trovava a confine tra le località “Soprammezzavia” e “Pannella” dove oggi sorge il campo sportivo Vincenzo Patalano. Questo “cavone” per noi bambini rappresentava la spiaggia d’inverno. Andavamo con la scolaresca per cercare le conchiglie, era una zona ricca di fossili. Ce n’erano tantissimi, di tutte le forme e grandezze. Molti usavano queste conchiglie come posacenere, altri ornavano i bordi dei giardini, altri ne facevano dei ricercati portalampade. Negli anni la cava incominciò a riempirsi di pattume raccolta in abbondanza durante il periodo estivo. Si narrava che, una notte di ottobre, una pia donna scomparsa da qualche anno (conosciuta come “zemonaca”) apparve in sogno al Nostro. Gli suggerì di scavare in un punto preciso della cava, sotto l’immondizia, dove era sepolta l’effige della Madonna dell’Arco da lui scaricata involontariamente assieme al pattume. Inoltre di edificare per la Vergine una cappellina. Ciccill scavò nel punto indicato e trovò realmente l’immagine della Madonna. Costruì una cappella in onore della Sacra Immagine e da quel giorno iniziarono ad affluire credenti da tutta l’isola d’Ischia per pregare.

Ciccill aveva un emporio al centro di Lacco e per la fornitura si recava lui direttamente a Napoli, alla zona Carmine, per fare gli acquisti. Una volta portò con sé uno dei numerosi nipoti, Michele, che il mattino della partenza per Napoli vide il nonno strappare fogli da una vecchia guida telefonica, piegarli e metterli nel portafoglio. Arrivati a Napoli presero il tram n° 1 che li avrebbe portati a destinazione. Saliti sul mezzo pubblico quattro individui li circondarono e incomiciarono a inveire l’uno con l’altro perché non spingessero. Nel parapiglia sfilarono il porta monete dalle tasche dell’ischitano e tutti e quattro i borseggiatori scesero dal tram alla fermata successiva. Ciccill s’era preparato alla sceneggiata avendone sentito raccontare sull’isola ed esclamò al nipote e agli altri passeggeri: “quanto pagherei per vedere la faccia di quei quattro quando apriranno il portafogli!”

Un altro episodio di cui si parlò per lungo tempo nel paese accadde un inverno, prima di Natale. Con uno dei fratelli, Ciccill comperò delle trance di maiale per le loro famiglie come erano abituati a fare ogni anno. Alcuni pezzi li consumarono al momento, mentre altri tipo “soppressate” “ventresche”, salami e “pezze e lard” li misero ad asciugare sotto una tettoia in zona fresca e pulita della loro abitazione.

Una mattina d’estate si accorsero che una “ventresca” era scomparsa e videro un cane nuovo della zona scappare nel vicoletto. Fecero delle ricerche e individuarono il cane che apparteneva a un noto avvocato napoletano in villeggiatura. Aveva preso casa lungo via Roma, di fronte alla spiaggia del Fungo. Passò del tempo e il fratello di Ciccill e sua moglie non si rassegnavano alla perdita. La donna insisteva affinchè il marito andasse dall’avvocato per farsi risarcire. Ciccill, da persona navigata, tentò invano di dissuaderli: “Da quella persona è meglio stare lontani perché conosce la legge e la legge è legge!”

Niente da fare, il fratello caricato dalle insistenze della moglie si recò a casa dell’avvocato che l’accolse amichevolmente. Il lacchese disse che era andato per un consiglio e gli espose il caso: “Se un cane viene nella tua proprietà e ti ruba una ventresca chi è il responsabile?” L’avvocato prontamente rispose che la colpa ricadeva sul proprietario del cane. A quel punto il derubato aggiunse: ”Il vostro cane è venuto sul mio terrazzo ed ha portato via la ventresca.” L’avvocato si scusò e volle sapere quanto valeva la perdita. L’uomo rispose che l’insaccato costava mille lire. Senza battere ciglio l’uomo di legge gli diede la mille lire. L’isolano fu contento per aver recuperato i soldi anzi ci aveva pure guadagnato perché aveva esagerato nella stima. L’avvocato, mentre l’accompagnava alla porta ricordò all’altro che gli aveva chiesto un parere e che il suo onorario per il consiglio era di cinque mila lire che il malcapitato dovette pagare.

Tornò a casa infuriato e arrabbiato verso la moglie che l’aveva costretto a recarsi dall’avvocato mentre il fratello Ciccill, da esperto uomo di mondo, l’aveva avvisato di stare alla larga da chi ne sapeva più di lui. Questo succede agli sprovveduti che vogliono fare i furbi. Infatti alla fine al fratello di Ciccillo toccò la sorte del:”curnut e mmazziat!”

La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. (Gabriel Garcia Marquez)

Le amicizie che durano di più sono quelle fatte in classe, a scuola, durano tutta una vita. Anche se capita di cambiare città, da grandi, quando ti ritrovi con gli amici di infanzia, il tempo si ferma, si ritorna bambini. Personaggi che hanno popolato la tua età più giovane affiorano distintamente. Si percorrono gli anni, le burle e gli scherzi realizzati insieme ed è un continuo “ti ricordi di quando ….?” “ Che fine ha fatto…?” A Lacco ce ne erano tante di figure che ci hanno accompagnato nella nostra crescita. Fra questi soggetti il più divertente era Raffaele “u pustin” che molto spesso si bisticciava con la moglie, beveva una bottiglia di vino e, seguito da un codazzo di bambini, camminava lungo il litorale di Lacco esclamando per tutto il percorso: “chichiù, chichiù u currier e saliern” , e i ragazzi sempre più numerosi lo seguivano e ripetevano il verso: “chichiù, chichiù u currier e saliern”. Si sedeva sul muretto rivolto al Fungo e cantava a squarciagola: “l’acqua mi fa male, il vino mi fa cantare, mi fa cantare tedesco e Nanninella ten a ventresca…”. I ragazzi l’applaudivano e lui cantava all’infinito fino a quando i suoi accompagnatori non lo colpivano con palle di sabbia costringendolo a scappare!Le “ruppliate” (sassaiole) erano molto frequenti specialmente a “Gennaro e mangione” perpetrate dai ragazzi del rione Ortola. Molto spesso, dopo aver trascorso una serata di giochi in mezzo piazza Santa Restituta, concludevano la serata con una sassaiola sul tetto di zinco della baracca in cui abitava il povero Gennaro. Le pietre producevano un fragore enorme tale che anche gli occupanti delle baracche circostanti uscivano fuori imprecando contro i ragazzi, minacciando che se li avessero presi avrebbero messo “u nas a’mmiez e recchie!”. Gennaro non veniva preso di mira solo dai ragazzi ma anche dagli adulti. Uno scherzo terribile gli fu giocato proprio da “Francisc e pasticciotto”, lo stesso che mi raccolse per suo terra quando caddi dal camion gridando “ha pers tutt e lient !” Gennaro d’estate, per quadrare il suo bilancio giornaliero, si aggregava ai facchini che trasportavano le valigie dei turisti che arrivavano via mare. Un pomeriggio Francisc e pasticciotto si imbarcò sulla “Passeggiata” (motonave così chiamata) a Casamicciola con una valigia piena di pietre molto pesanti conosciute col nome di “vrecce”. Per non far uscire il carico dalla valigia Francisc l’avvolse con una cinghia, era pesantissima e scomoda da portare. L’affidò a un turista napoletano, molto conosciuto a Lacco perché ogni anno soggiornava all’Hotel San Lorenzo, situato sulla strada che porta a Forio. Quando il turista sbarcò dalla nave al molo di Lacco invitò Gennaro a prendere la valigia e portarla al suo albergo. Gennaro caricò la pesante valigia sulle spalle, il peso era enorme, difficile da trasportare specialmente sotto il sole cocente di una giornata estiva. La strada era in salita, dovette più volte sostare lungo il tragitto, sudato, assetato, il sole gli martellargli la testa coi caldissimi raggi. Con difficoltà arrivò alla curva della Mezzatorre, finalmente dopo una cinquantina di metri al San Lorenzo. Una volta in albergo il cliente vedendo Gennaro che grondava sudore e affannava, si meravigliò che ci avesse impiegato tutto quel tempo dal pontile all’albergo e la valigia fosse così malandata. Lo pregò di aprirla. Il facchino improvvisato trovò grossa difficoltà per sfilare la cinghia dalla valigia che si era deformata. Dopo vari tentativi Gennaro riuscì ad aprirla e con enorme sorpresa il proprietario trovò solo pietre e andò in escandescenza, tacciando il povero Gennaro di ladro: aveva svuotato la valigia, preso il contenuto e sostituitolo con pietre. Chiamò il portiere dell’albergo come testimone e disse subito di avvisare i carabinier del furto. Gennaro non sapeva come giustificarsi e non trovava parole cercando nelle persone presenti qualcuno che lo conoscesse e garantisse per lui, così si sporse dalla porta d’ingresso dell’albergo e vide “Francisc e pasticciotto” ed altri amici che ridevano a squarciagola chiedendogli della valigia. Solo allora il povero Gennaro capì dello scherzo fattogli. Li rincorse bestemmiando fin giù a piazza Santa Restituta ma Francisc e gli altri compari ormai si erano allontanati in macchina. Chi non ricorda Ciciotto di Casamicciola, personaggio unico, piccolino di statura, vestito elegantemente con giacca celeste, camicia bianca, foulard blu al collo, pantalone e scarpe bianche, occhietti rapaci. Anche da anziano era rimasto giovane nello spirito. Molti della sua età frequentavano la chiesa, il gioco delle carte al bar con gli amici, una vita più consona all’età. A Ciciotto piaceva frequentare i luoghi dove si riunivano giovani ragazze, dal cinema alle sale da ballo e, quando d’estate i bar mettevano negli spazi esterni i juke box, Ciciotto era là con la speranza di fare “l’acchiappanza”. Una volta alcuni ragazzi del Capitello gli tesero una trappola dicendo che Lisetta a “frances” l’aspettava nei pressi del portone e “Marecuncett”, in via Rosario. I ragazzi, di nascosto, salirono per le scale che portavano alla proprietà dei Calise Piro, nascosti fra le canne, scaricarono delle “pandosche” di terra su Ciciotto che era vestito come sempre elegantemente, imbrattandogli gli abiti, mettendolo in fuga!Altra figura unica era “Trinchet” che aveva problemi di deambulazione. In occasione della festa di Santa Restituta e a volte durante il periodo estivo, scendeva dalla Sentinella per via “Uneso” su una carrozzella artigianale dell’epoca con ruote fatte da “cuscinetti”, trainata da cani latranti. Trinchet con una bacchetta di bambù gridava e bestemmiava, era attorniato sempre da uno stuolo di ragazzini curiosi contro cui imprecava usando paroloni molto pesanti. Sembrava una scena da fumetti.E chi si dimentica la “vecchia pazza e Casamicciola” che scalza, scarna, i lineamenti tesi, il naso aquilino, gli occhi neri scavati ti guardava fra i capelli bianchi, era il terrore di noi ragazzi. Col caldo o col freddo, veniva a piedi da Casamicciola fino a Lacco facendo un giro intorno a ogni singolo albero di pino marino piantato lungo il marciapiede che costeggiava la strada. Cantava una nenia, quando si accorgeva che noi la guardavamo ci fulminava con uno sguardo e rideva, quanto rideva…….! Quando la sera giocavamo intorno alla fontana del Capitello, bastava che qualcuno gridasse: avilloc a vecchia pazza” e tutti a scappare…..!

SUPERSTIZIONI E VECCHI RIMEDI

Michele si trovava in Germania per perfezionare la conoscenza della lingua tedesca, colse l’occasione per partecipare alla mostra del turismo che si teneva in quei giorni a Berlino. Durante un pranzo di lavoro un collega gli presentò il proprietario di un grosso villaggio turistico della costa tirrenica, uno dei primi all’epoca in Italia. L’occasione fu propizia per Michele che ottenne un ingaggio da capogiro. Nel giro di qualche settimana si trovò a dirigere un villaggio turistico fra i più rinomati della Campania, da dove poteva ammirare la sagoma dell’isola d’Ischia vista da un’angolazione da sogno. Il villaggio era frequentato da un pubblico proveniente da tutta Europa. La struttura da lui diretta era il fiore all’occhiello di tutto il Sud. Gli svaghi furono arricchiti da una scuola di sci nautico (per l’occasione si era avvalso di alcuni giovani maestri di sci acquatico provenienti dai laghi lombardi). Aveva creato, grazie alle sue competenze e conoscenze, lo Sporting club che comprendeva percorsi di trekking attraverso la pineta che confinava con la spiaggia, escursioni ambientali guidate, corsi di immersione subacquea, canoa, in più corsi di pittura seguiti da artisti del posto. L’animazione era affidata a giovani italiani e stranieri fra i più famosi d’Europa che si succedevano ogni quindici giorni. Alcuni di loro in seguito sono riusciti a inserirsi nel mondo dello spettacolo nazionale, ragazze che facevano parte del team sono diventate conduttrici televisive e modelle. Durante il periodo estivo c’erano i maggiori nomi del firmamento della canzone mondiale: da Charles Aznavour a Ray Charles, da Ornella Vanoni a Modugno. Era un turbinio di happenings. In questo fermento Michele si innamorò pazzamente, come non gli era capitato prima, di una ragazza della provincia di Cosenza. Non riusciva a stare concentrato sul lavoro, appena poteva lasciava il complesso dove lavorava per recarsi dalla nuova fiamma che ormai l’aveva incatenato, stregato. Tutto il fuoco si spense quando alla povera ragazza uscì da bocca che preferiva la montagna al mare. A questa dichiarazione, il mio amico si rese conto che, qualora il rapporto fosse andato avanti, lui avrebbe dovuto lasciare il suo amato scoglio e il mare che era la sua passione, la vita. Allora decise di tornare sui suoi passi e lasciare la fidanzata. La giovane e la famiglia ci rimasero malissimo e non volevano accettare quella decisione presa dal nostro amico. I fratelli e i parenti di lei cercarono in tutti i modi di farlo ritornare sui suoi passi. Michele fu irremovibile, per questo motivo a fine stagione abbandonò anche il villaggio che tanto gli piaceva. Come ritornò sull’isola un mal di testa s’impossessò del suo corpo, gli amici e i parenti gli consigliarono di prendere un periodo di ferie. Così con altri amici andò in giro per l’Europa a visitare la Svezia e altri paesi scandinavi perchè durante il periodo estivo aveva conosciuto ragazze di questi luoghi. Al ritorno dal viaggio, durante il periodo di Natale, un suo collaboratore, sentito lo stato pietoso in cui versava il suo direttore, lo invitò a Caserta e decisero di andare insieme a far visita a una conoscente che abitava in uno dei paesini del casertano. La signora era conosciuta per la sua bravura nel togliere il ”malocchio”. Michele era restìo, anche se non credeva a queste pratiche, cedette all’insistenza del suo collaboratore. Arrivati sul posto, fu condotto in una stanzetta dove la padrona custodiva uccelli rapaci imbalsamati e bambole di stoffa con degli spilloni conficcati nelle vesti. Il mio amico mostrò alla signora i punti del capo dove il dolore era più intenso, sembrava come se avesse avuto dei chiodi che gli trafiggevano la fronte. La donna lo fece accomodare su una sedia, incominciò a mormorare delle parole incomprensibili toccandogli con due mani il capo e facendo più volte dei giri intorno a lui. Alla fine di questa indecifrabile nenia, la guaritrice prese un piatto di porcellana e l’adagiò sulla testa del malcapitato, versò dell’olio nel recipiente e fece un ulteriore giro mormorando delle parole. A un certo punto si fermò, trattenne il respiro fissando intensamente l’olio fino a quando due bolle si materializzarono nel liquido che giaceva nel piatto. Vuoi la suggestione, vuoi l’imprevisto, Michele tornò sull’isola rinato, libero, senza il male che lo aveva tormentato per mesi. Alla sera del 31 dicembre partecipò con gli amici di sempre ad una tombolata che si teneva a casa di conoscenti comuni. Prima della mezzanotte, si spostarono i tavoli e s’incominciò a ballare. Michele, per l’euforia che si era creata, si spogliò della camicia che gli era stata regalata dalla sua vecchia fiamma e la gettò nel fuoco del camino. Il sortilegio scomparve definitivamente e lui era pronto per un’altra avventura. Il giorno dopo condividemmo il ricordo di quando da piccoli, a causa dei continui mal di pancia, le mamme ci portavano dalla vecchia “Gemaria” a Mezzavia che incantava i vermi. Tutti i bimbi del rione andavano da questo personaggio: era piccola, rotonda con gli occhi chiari velati da un’eterna cataratta, i capelli bianchi formavano una crocchia bianca dietro la nuca che era infossata nella spalla curva. Portava un grembiule nero che arrivava fino ai piedi; sia d’estate che d’inverno il grembiule era sempre lo stesso. Ci faceva stendere sul letto enorme e poi passava le mani sul pancino delle piccole o dei piccoli a mo’ di massaggio recitando dei versi incomprensibili, sembrava un bisbiglio lamentoso e poi passava il pollice per tutta la pancia disegnando delle croci senza allontanare la mano dal corpo. Anche questo era un altro mistero che faceva allontanare i mali. Di questi incantesimi ne ricordavamo ancora uno: quando bambini passavamo ore intere fra la spiaggia e gli scogli sotto al sole e a volte tornavamo a casa con un grosso mal di testa. Gemaria metteva una salvietta di spugna bianca sulle spalle e un grosso bicchiere colmo d’acqua con un pizzico di sale avvolto in un panno capovolto sulla testa del piccolo. L’acqua assorbiva il calore producendo bollicine e il mal ti testa spariva!

Peppino “e’ sciusciell”

Da piccolo, specialmente d’estate, assieme a mio cugino Peppino di zio Paolo che era di qualche anno più piccolo di me, passavamo parecchie ore con zia Rosa che era la sorella di mio padre. Di fronte al negozio, che lei gestiva, c’era la spiaggetta denominata della “Croce”. Tutti i ragazzi del rione di Mezzavia e della Marina passavano la giornata sulla spiaggia, gli scogli e la “secca” a pescare. C’erano gamberesse rosse e cavallucci marini, ricci e tante altre specie viventi fra le “reppole” degli scogli: purtroppo non le ho più viste in seguito. Nel tratto di mare antistante questa spiaggia ho imparato a nuotare. Quando non c’erano i nostri parenti c’era zia Rosa che ci controllava. Sopra al suo negozio abitava una coppia d’Inglesi che avevano un barboncino bianco e un gattone dal pelo grigio. Il marito era un colonello dell’aereonautica. All’epoca c’erano parecchi militari inglesi che abitavano sull’isola d’Ischia, tutti avevano casa lungo le coste dell’isola. Si diceva che erano dei “watchers”, osservatori di guerra, che rimasero sull’isola per lungo tempo dopo la seconda guerra mondiale. Erano sempre seri, non sorridevano mai, non avevano figli. Ricordo che una volta la signora che abitava sul negozio ci sorprese, nella spiaggia sottostante l’abitazione, mentre noi bambini, col pisello da fuori facevamo la pipì in lungo sulla spiaggia per vedere chi arrivava più lontano. La signora inorridita ci sgridava minacciando di mandare il cane e il gatto a mangiare il nostro uccello! Dopo anni incontrai la signora inglese come ospite a Villa Svizzera. Veniva ogni anno a godersi il sole e le cure dei fanghi di Lacco. Da piccoli avevamo un po’ timore della signora che era piuttosto rigida con noi bambini. Lei mi raccontò un sacco di episodi divertenti dove noi eravamo protagonisti; a lei piaceva osservarci da lontano e qualche volta ci offriva anche qualche tavoletta di cioccolato. Si ricordava di tanti personaggi di Lacco Ameno fra cui Peppino “e sciusciell” che imitava il verso di più animali ma quello che la divertiva di più era il canto del gallo. Peppino era magro e ossuto, con naso sporgente, voce nasale, viso scavato e irregolare. Nel fare l’imitazione anche lui sembrava acquistasse le sembianze del gallo. Si restringeva nel fisico, allungava il collo, il viso e col naso in aria emetteva il tipico canto del pennuto: chicchiriiiiiiichiiiiii, chicchiriiiiiiiiichiiiiii….. Riscuoteva ammirazione e applausi dalla folla che lo circondava. Un’altra specialità era il verso della pecora, addirittura Peppino faceva i vari tipi di belati prima e dopo aver trovato il suo caprone. A Peppino “ e sciusciell” piacevano molto gli animali. Più tardi, negli anni ’70/80, in tv, Enzo Tortora presentò un programma che si chiamava “Portobello” e i concorrenti vincevano se riuscivano a far ripetere la fatidica parola “Portobello” al pappagallo. Peppino decise di partecipare al programma televisivo, si allenava tutti i giorni col pappagallino che stava legato fuori alla salumeria di “Sciosciò”. Purtroppo non riuscì a partecipare a causa delle vicissitudini occorse al presentatore.La signora inglese mi raccontava anche di giovanotti del posto che la sera d’estate uscivano con la barca e cantavano al largo del suo balcone portandole la serenata. Le piaceva molto il mare e le mareggiate violente i cui flutti arrivavano fin sul suo terrazzo, ricordandole Brighton dove lei era cresciuta. Da giovane aveva frequentato una scuola di recitazione nella sua città. Aveva avuto anche esperienze teatrali. Fra le sue conoscenze c’era Sir Laurence Olivier che a volte veniva a trovare lei e il marito durante il loro soggiorno a Villa Svizzera. Infatti lui era ospite fisso, ogni anno, presso i Walton, a San Francesco. La cliente inglese si ricordava persino l’amarezza che aveva provato per la prematura scomparsa della figlia di zia Rosa, Maria Pia. Della cuginetta ho un ricordo labile, la incontravo di rado quando mi recavo al Capitello per salutare zio Gianni che veniva per trascorrere le feste di Pasqua nella casa della nonna. Tutti i nipoti andavamo a salutarlo perché ci portava le uova di Pasqua di cioccolato con la sorpresa inserita. Eravamo invidiati dagli altri ragazzi perché quasi nessuno aveva questo regalo con la sorpresa. Zio Gianni svolgeva la mansione di direttore presso la SIP di Bari e infatti la moglie era barese. Ricordo che era molto bella, alta con modi da gran signora. In quell’occasione incontravo spesso Maria Pia che era molto dolce, con occhi grandi e neri che rifulgevano nel viso molto chiaro circondato da capelli nerissimi e ondulati. Era amata da tutti quanti noi cuginetti perché era gracile e delicata, una voce flebile, si stancava facilmente ma era sempre sorridente come la mamma, non si lamentava mai. Ci invitava a giocare a nascondino sul terrazzo e lei era talmente piccola che si nascondeva fra i rami di biancospino. Era un arbusto molto folto, nonostante le spine sembrava non la pungesse e che addirittura la avvolgesse. La cuginetta morì giovanissima. La pianta di biancospino rimase al suo posto per tantissimi anni e, ogni volta che mi recavo dalla nonna, l’osservavo: sembrava che all’improvviso per sorprendermi dovesse uscire Maria Pia dai cespugli!