
Con gli inizi di dicembre, le giornate erano corte e fredde. Il mare ruggiva e noi ragazzi eravamo in piazza Santa Restituta intenti a giocare mentre i genitori erano in chiesa per la novena dell’Immacolata. La piazza era in terra battuta, non c’era ancora la fontana né la pavimentazione coi basoli, l’illuminazione scarsa. Era una grossa festa: si giocava a pallone, a castello con le nocciole, coi tappi di latta delle bibite accumulati durante il periodo estivo. I giochi erano molteplici e ci si affidava molto a quella che era la fantasia dei gruppi. Si giocava a “cavalieri”: si formavano due squadre, una stava piegata e l’altra saltava, vinceva chi resisteva più a lungo in “groppa”. Altri passatempi erano le biglie di vetro che avevano persa la lucentezza iniziale. Altri ragazzi si divertivano con pezzettini di piastrelle che recuperavano dagli scarti della costruzione dell’albergo della Regina Isabella.
Di sera, di nascosto, andavamo all’interno del cantiere, al buio, per recuperare oltre ai residui di mattonelle anche chiodi di varie grandezze, mai visto tanta abbondanza di materiale!
Il posto era molto pericoloso perché tutt’intorno era buio, c’erano delle vasche dove i muratori mettevano a sciogliere le pietre di calce che servivano poi per gli impasti con il cemento. Qualche volte fu sfiorata la tragedia perché un ragazzo scivolò e per poco non andò a finire dentro una vasca della calce viva messa a macerare. Questa ribolliva come lava vulcanica. Con quel materiale a disposizione davamo spazio alla nostra creatività, dalla costruzione di carrozzelle, monopattini, barche in miniatura e piccole zattere, la fantasia non aveva limiti!
C’erano i ragazzi di tutti i rioni, molto spesso si finiva a botte. Non richiamavano l’attenzione perché intorno c’erano spari di petardi, tracchi, botti e botticelle di tutti i tipi.
Dopo la recita del rosario, col suono della campanella lentamente affluivamo in chiesa per prendere posto intorno ai gradini dell’altare e assistere alla cerimonia. Don Pietro ci sorvegliava e ogni tanto dava le “carocchiate” a chi dava fastidio durante la funzione religiosa.
Una sera anzicchè andare in chiesa col mio amico Francolino ci attardammo a comperare delle castagne peste alla bancarella di “Giuan a peless”. Mentre stavamo andando verso Santa Restituta vedemmo il camioncino di Giovangiuseppe che si staccava dalla piazzetta dove si trovava il negozio di Gabrielino, decidemmo di appenderci dietro al mezzo fino a Santa Restituta.
Quel giorno, in occasione delle festa, indossavo il giubbotto ricevuto in regalo nell’ultimo pacco che zio Giuseppe aveva spedito dall’America. La taglia era di qualche numero più grande di quella che portavo di solito, era nuovo ed appartenuto ad un mio cugino “americano”. Ci appendemmo dietro al camioncino che trasportava bidoni di olio. Come si mise in movimento, uno dei bidoni d’olio si spostò dalla sua posizione, rotolò per tutta la lunghezza del camioncino e venne a sbattere violentemente vicino alla sponda dove io ero aggrappato. Per non lasciar schiacciare la mia mano dal bidone lasciai la presa e caddi sulla strada, proprio davanti al locale “Marietta”. All’epoca era l’unico bar aperto che d’estate era dancing e ristorante con la terrazza esterna mentre, d’inverno, la sala interna fungeva da bar dove tutti gli uomini del paese giocavano a carte. Insieme a me si sganciò anche la sponda del mezzo e il bidone dell’olio cadde sui basoli spargendo tutto il liquido sulla strada. La caduta produsse un tonfo molto rumoroso e tutte le persone spaventate pensarono al terremoto così tutti lasciarono le carte sui tavoli per correre fuori e vedere cosa era successo. Mi ricordo che mi raccolse da terra “Fracisc e pasticciott” che imprecava contro la cattiva sorte, coi suoi lamenti e grida di disperazione, perché dalla mia bocca usciva abbondante un fiotto di sangue accompagnato da pezzetti macchiati: “si son rotti i denti, non ha più denti in bocca!” urlava. Mi portarono nella cucina del ristorante, mi pulirono le labbra e la bocca con acqua fresca e sale e si resero conto che i miei denti erano tutti al loro posto, i pezzetti gialli coperti di sangue non erano che i resti della “castagna pesta” che stavo masticando quando caddi dal camioncino.
Grazie al giubbotto americano a quadri col collo imbottito, la caduta venne attutita ed ebbi pochi danni. I presenti sorridendo per lo sventato pericolo esclamarono: “Ogni bambino ha il suo Angelo Custode che lo prende in braccio!”