Month: November 2020
L’Albergo della Regina Isabella fra i 20 più belli del mondo, negli anni 60/70.

Il direttore era l’avvocato Serena, di origine caprese, flemmatico, piccolino, di grande competenza, la cui famiglia è stata proprietaria del Quisisana di Capri.
Con uno sguardo riusciva a capire tutte le situazioni, aveva il controllo totale di tutti i reparti dell’albergo.
La sua passione era una prorompente signora bolognese, parecchio più giovane di lui, eternamente abbronzata, che aveva un barboncino bianco.
La gestione della catena alberghiera Rizzoli era guidata dal Dr. Gino Fiorentino, maestoso, lento nei movimenti ma onnipresente: aveva il dono dell’ubiquità. Gestiva alberghi prestigiosi in tutta Italia, per tutta la settimana viaggiava in treno dal Sud al Nord: a Milano era sotto il suo controllo il De La Ville situato nel centro della città. A Roma il Residence Hotel Parioli. A Napoli l’Hotel Vesuvio sul lungomare, in uno dei luoghi più belli al mondo. A Sorrento l’Hotel Victoria dove soggiornò a lungo il grande Caruso. Infine a Ischia il complesso Ischialberghi che comprendeva il Regina Isabella Sporting e Royal Sporting, La Reginella. Si aggiunsero poi Il Fungo, La Villa Svizzera e il Manzi di Casamicciola. Tutti questi alberghi guidati in maniera eccellente dal dr Fiorentino che, purtroppo, come tanti altri imprenditori importanti, non hanno saputo plasmare un degno successore fra figli o nipoti. Alla loro scomparsa è capitolato tutto quello che hanno creato.
Come vice direttore del Regina Isabella c’era un austriaco, già dall’inizio della nascita dell’albergo: Harald Sellner, mio maestro negli anni ’70 e ’71. Capacissimo, perfetto conoscitore delle lingue: Italiano, Francese, Inglese, Spagnolo e ovviamente Tedesco. Dal punto di vista della corrispondenza, planning e booking era imbattibile, di una precisione e pignoleria estrema. D’inverno girava tutta l’Europa portando con sé dei lungometraggi dell’isola d’Ischia in cui si magnificava la bellezza dei luoghi e l’efficacia delle cure termali. Si fermava in tutte le maggiori capitali europee dove organizzava dei party nell’albergo più importante della città. Venivano invitati ospiti che durante la stagione estiva avevano soggiornato nel complesso Rizzoli.
Faceva parte dello staff direttivo Paola Starace, di madre svizzera, padrona delle lingue Inglese, Francese e Tedesco, molto introdotta nel bel mondo e bravissima nelle pubbliche relazioni, proveniente dall’ École hôtelière de Lausanne. D’inverno era in giro per gli Stati Uniti per far pubblicità a tutto il complesso invitando anche lei gli ospiti che durante l’estate avevano trascorso la loro vacanza a Lacco Ameno. Suo zio Alberto Campione, animatore e cerimoniere del complesso, d’inverno frequentava i circoli più esclusivi californiani per propagandare il complesso del Regina Isabella. Gestiva la cassa Alide Fedrizzi, trentina, precisa, curava la contabilità e il rapporto con le banche. Famosa per il suo “salto in banca”.
In portineria un istituzione: Vittorio Ragona che oltre a conoscere le lingue straniere era un ottimo psicologo, faceva “filare” i suoi ragazzi e conosceva tutti i desideri dei clienti. Tutte le compagnie di trasporti dalle navi agli aerei pendevano dalle sue labbra perché sapeva creare dei grossi movimenti.
Come non ricordare la voce del Regina Isabella, il primo contatto telefonico coi clienti e con l’esterno: Rosalia che col suo “prooontoo?” non sapevi se era ischitana o settentrionale. Come si dice a Napoli “toscaneggiava” e sì perché molte delle ragazze fra le bagnine, le cameriere ai piani che erano del posto, non conoscevano le lingue straniere. Loro dicevano che sapevano parlare “le lingue italiane: sapevano usare la cadenza milanese, torinese, romana, veneta, bolognese insomma tutte le lingue italiane”!!!
Ai piani, c’era la bravissima ed efficiente governante: la Santarosa, il terrore del personale ai piani. Era minuta, leggermente claudicante, dotata di una memoria straordinaria, precisa come un computer. Conosceva esattamente le ubicazioni dei quadri, delle sedie, il tipo di materasso, le abitudini dei clienti che erano per la maggior parte habitués. Era l’inventario generale fatto persona anche di quello che non era di sua competenza come le porcellane, la cristalleria, l’argenteria del room service che variava da piano a piano. Programmava tutto. Dopo la Santarosa sopraggiunse, proveniente da Tarso, Veneto, la signora Emy Zuanella anche lei di grande competenza.
A capo dell’ufficio stampa c’era una signora austriaca, d’inverno era impegnata nella pubblicità dell’intero complesso in giro per l’Europa.
In cucina regnava lo chef Modena di San Remo che portava con sé l’intera brigata. Dei ragazzi del posto si inserirono come commis diventando nel tempo affermati chef di cucina sparpagliati poi per tutta Europa.
In sala c’era il maître d’hôtel Signor Ferrante, gentile e riservato, proveniente da Verona, col suo occhio controllava l’intero servizio di sala. Anche lui ha forgiato parecchie figure di sommellier e futuri maîtres.
Al bar c’era Gaetano Monti, unico ischitano come capo servizio. Monti ha lasciato un’impronta profonda nel mondo alberghiero dell’isola.
Oltre ad essere stato un ricercato e stimato barman, si è adoperato molto nella realizzazione dell’Istituto Alberghiero Telese creando nuove leve di Barman.
Un discorso a parte merita il direttore del Reginella Gaetano Castellano. Questi d’inverno partiva per varie città europee, specialmente per la Germania, portando con sé lo chef di cucina Nunzio Mattera. Organizzavano tre giorni della “Cucina napoletana”. Ovunque andavano era un trionfo di affluenza.
Per quanto riguardava la pubblicità ci pensava il comm. Angelo Rizzoli con la Cineriz e i suoi giornali a mantenere viva l’immagine di Lacco Ameno e dell’isola d’Ischia nel mondo.
Un’epoca indimenticabile e irripetibile che ha lasciato un segno eterno nell’arte dell’ospitalità!
Vittorio Ragona: il portiere d’albergo per eccellenza.

Facendo un po’ di pulizia nel borsone dove ci sono i documenti di lavoro, tutta la vita mi scorre davanti come un film: i libretti delle marche versate, foto dei miei viaggi, amici e colleghi. Nell’osservare le immagini ti senti assorbire e sentire persino il profumo dei luoghi del passato. Emozioni vissute nella gioventù e l’entusiasmo di conoscere gente e paesi nuovi. Da giovane non riuscivo a fare “pizz caul”: avevo questa smania di viaggiare, conoscere, apprendere. Forse l’unico posto dove sarei rimasto, contento di vivere per sempre, sarebbe stato Londra. Questa metropoli mi è entrata nel sangue. E’ il posto dove ho lasciato complessi e scorie che m’ero portato dentro fin dall’infanzia, mi son tolto di dosso una corteccia che non era la mia. Mi son sentito come una pianta che perde l’involucro antico e rinasce a nuova vita. Il mio ’68 ! Cerco, scorro nelle tasche laterali della borsa, trovo articoli di giornali riguardanti l’isola d’Ischia e tante cartoline, vedute in bianco e nero e a colori che portavo con me nei miei viaggi. Mentre scorro suona il telefono, lo sento appena per la suoneria bassa che è impercettibile. Alzo la cornetta, una voce dall’altro capo non più giovanissima ma sempre energica e chiara esclama: “Pronto? Mi riconosci ?” Lo riconosco e come! L’accento non è napoletano, è torinese, niente di meno Vittorio Ragona! L’ultima volta che ci siamo visti deve’essere, penso, tre o 4 anni fa. Fra una parola e l’altra, abbiamo ripercorso il periodo storico dell’apertura dell’Albergo della Regina Isabella di Lacco Ameno perché in effetti il portiere d’albergo, all’epoca, più famoso d’Italia, oggi ha la bellezza di 92 anni ed è di una lucidità impressionante! Mi ha raccontato che lui ha fatto l’apertura del Regina Isabella nel lontano 1956 e la grossa difficoltà che aveva avuto per reperire il personale locale per la portineria. Per anni anche il secondo portiere proveniva dal continente mentre per commissionieri ha dovuto lavorare non poco, nel tempo, per formare i ragazzi che erano figli di contadini o pescatori, molto semplici, senza alcuna esperienza alberghiera. Al mattino quando entravano in servizio, raccontava, doveva controllare la pulizia delle mani, del collo, le unghie, i capelli, la pulizia delle scarpe. Non c’era ancora l’acqua corrente nelle case. Non è stato facile plasmare questi giovani allievi che non avevano nessuna idea di quello che fosse un albergo, specialmente poi quello di lusso. Oltre ad addestrare le nuove leve, c’era da soddisfare anche le esigenze dei clienti, compito molto impegnativo. Ha dovuto organizzare tutta una rete di contatti nuovi perché la clientela era rappresentata dal jet set internazionale. I clienti arrivavano in aereo a Napoli o a Roma, doveva organizzare transfer con limousine, con elicottero o idrovolante. Capitò anche che una coppia di clienti sudamericani morirono a bordo di un idrovolante a causa di alcuni uccelli che, penetrati nel motore, fecero inabissare il velivolo. Il malcapitato turista era in compagnia di una giovane donna che non era la moglie. Dopo anni, raccontò Vittorio, il figlio di lui venne in vacanza a Lacco per vedere il luogo dove era perito il padre.
Oltre a creare figure per il reparto di portineria Ragona collaborò con l’emerita ed energica Professoressa Damiani alla realizzazione di una succursale dell’Alberghiero di Napoli a Ischia. La Damiani, insieme alla prof. Musella e ad Alide Renzi, presero a cuore la buona riuscita dell’istituto professionale. Queste ultime s’impegnarono ad attirare allievi dalle Scuole medie per creare diversi indirizzi professionali nella succursale. Loro stesse si preoccupavano di sistemare lavorativamente questi ragazzi presso le strutture ricettive dell’isola durante il periodo estivo. Furono delle pioniere, molti degli studenti di quell’epoca, ormai nonni, servono ancora un affettuoso ricordo di chi generosamente mise a loro disposizione il proprio tempo libero, la loro professionalità ed energia. Con l’abnegazione di queste donne, il supporto di Vittorio Ragona, del prof. Sena e tecnici da Pisani a Gaetano Monti furono gettate le basi per costruire quello che poi sarà un fiore all’occhiello dell’isola d’Ischia: l’Istituto Professionale di Stato “V. Telese”.
Correva l’anno 1953

Grazie a Elena Fracasso per la foto
Il cimitero di Lacco, con l’antica torre, gli alberi di cipressi enormi rendevano il posto austero e scuro allo stesso tempo. In paese non esistevano negozi di fiori, i più fortunati che avevano un giardino riuscivano a coltivare dei crisantemi di colore bianco o giallo con petali bruciati dalla salsedine. Erano gli unici fiori che sbocciavano ancora ai primi di novembre o c’era qualche residuo di fiori chiamati settembrini, celesti o bianchi, o altri ancora chiamati fiocchi di cardinale che erano di colore rosso intenso. Con i miei coetanei andavamo nei boschi per raccogliere dei rami di mortella o di pungitopo per addobbare le nicchie dei parenti che giacevano proprio nella torre, al piano superiore. Le pareti della torre, sia esterne che interne, erano piene di nicchie, tutte uguali, di marmo. Quelle interne erano diventate grigie per il fumo prodotto dalle candele che producevano calore e un odore stantìo. Tutte le donne erano vestite di scuro; in occasione della perdita di un congiunto si vestivano completamente di nero. Più era stretto il grado di parentela del defunto, più a lungo durava il lutto. La veduta dalle finestre della torre era molto bella, tutte guardavano il mare.Le scale che portavano al piano superiore della torre erano sconnesse e buie, non c’era luce. Lungo il muro c’era un passamano di legno che oltre che da guida faceva anche da sostegno, si doveva fare attenzione a dove mettere i piedi. Nel salire si sentiva il brusio e la cantilena delle voci di mia madre e delle sue amiche che recitavano il rosario sedute su banchi sgangherati di legno sistemati in mezzo allo stanzone del piano superiore. Su quei banchi non mi ci sedevo perché si diceva che appoggiassero le ossa dei morti per farle asciugare. Nella mia mente quello stanzone dava l’impressione di un’anticamera del Purgatorio. Il 2 novembre mia madre e le altre donne si recavano al cimitero già dalla tarda mattinata. Facevano compagnia ai morti recitando lunghi rosari fino a che non venivano benedette le tombe. La mattina salivamo, a piedi, anche noi ragazzi a Montevico, scendevamo per mangiare a mezzogiorno e poi si saliva di nuovo e restavamo fino al passaggio del parroco. Per tutta la giornata eravamo liberi di girare per il cimitero ma al momento della benedizione dovevamo stare in compagnia della famiglia vicino alla tomba dei nostri cari. Ogni qualvolta don Pietro veniva a benedire le nicchie dei defunti al primo piano della torre non mancava di indicarci l’angolo in cui i nostri antenati accendevano il fuoco per segnalare alla popolazione l’avvistamento di qualche imbarcazione nemica, con paglia bagnata che produceva fumo bianco. I lumini e le candele di colore bianco di tutte le grandezze abbondavano intorno alle tombe. Facevamo il giro del cimitero per raccogliere la cera liquida (era la nostra plastilina) ancora calda che si formava. Con essa modellavamo vari oggetti a forma di martello, di palla; tante volte ricostruivamo delle candele artigianali da mettere sulla tomba di qualche nostro compagno di gioco morto in tenera età. Di fianco, al lato sinistro dell’ingresso della torre c’era uno spazio riservato alle tombe dei bambini che non avevano mai visto la luce. Erano molti i neonati che morivano prematuramente a quell’epoca! Mia madre mi spiegava che quella schiera di bambini morti erano angioletti che ci proteggevano per tutta la vita. Anche io avevo il mio Angelo custode che vide la luce ma morì dopo pochi giorni, si chiamava Peppino e quando nacqui mia madre mi diede il suo nome in ricordo. In effetti il mio Angelo è stato ed è ancora a fianco a me!
All’ingresso del cimitero, a destra, c’era una tomba abbandonata, senza fiori o candele, solo una croce di legno malandato consumata dalla pioggia e dalla salsedine. Ogni ragazzo provava terrore quando passava vicino a quel cumulo di terra appartato perché nessun parente voleva seppellire un suo caro là vicino: era la tomba dove era sepolta la “Dama nera” .Il corpo senza vita di questa donna fu trovato in località “sott’ sarangel” a Lacco Ameno. E’ una storia molto confusa e triste. Si raccontava che questa signora doveva incontrare o si incontrò con un uomo di cui non si conobbe mai l’identità. Fu un giallo che appassionò tutta l’Italia, la morte è rimasta avvolta nel mistero e creò tanto scalpore nella tranquilla comunità dell’isola. Anche la spiaggia dove fu trovata la salma non fu più frequentata dalle persone del posto. Gli abiti di questa donna sono stati conservati per un lungo periodo in una scatola presso il Comune. Mai nessuno li ha reclamati né tanto meno furono ritrovati la borsa e la piccola valigia che la signora aveva con sé. Il mistero della Dama Nera è ancora fitto, correva l’anno 1953.