Le bollicine della gassosa

All’età di sei anni abitavamo ancora in via Cristoforo Colombo. In quei pomeriggi di calura estiva, chiedevo a mamma di darmi i soldi per comperare una gassosa che era la bibita più economica e gustosa.Scendevo per via C. Colombo, per me lunghissima, arrivato in via Marina costeggiavo la strada tenendomi sempre sullo stretto marciapiedi, passando per la “puteca e Minichina” amica di mia madre. Passavo davanti alla parrocchia e la “puteca e Matalena”. Arrivavo finalmente nel sottopassaggio buio e fresco che portava da “Lumminc e’ Mariapril” (attuale ristorante Delfino) che in un lavatoio di muratura teneva stecche di ghiaccio, birre, coca-cola e gassose. La birra era per gli adulti. La coca-cola era più cara e poi dicevano che facesse male alla pancia. Facevo un percorso più lungo perché le bevande da “Lumminc” erano meno care che negli altri negozi, specialmente la gassosa. A casa non avevamo l’apribottiglia così me la facevo aprire dopo averla pagata. Avere quella bibita gelata fra le mani era un piacere per il fresco che la bottiglia ti arrecava e il forte desiderio di fare un sorsetto contro l’arsura. Era una tortura non poter gustare quella bevanda tanto desiderata. La bottiglia non aveva etichetta, era di 250 ml, il vetro era increspato, dava la sensazione di conservare meglio il fresco. Per evitare d’incontrare altri coetanei, assetati più di me, lungo la mia strada prendevo una scorciatoia privata che apparteneva alla famiglia di Don Pietro, il prete rettore della chiesa di Santa Restituta. A limite in quel percorso potevo imbattermi nella figura di Nannina, sorella di don Pietro, secca, secca come una canna. Bianca, bianca come una candela di cera anche d’estate, non sorrideva mai. Altre volte incontravo Maregiuseppa, anche lei sorella di don Pietro, che era più piccola di statura, più cicciottella, viso aperto e sorridente, con aria sognante. Tutte e due erano rimaste “signorine” e accudivano con premura il fratello sia a casa che in chiesa. Quando passavo vicino a quest’ultima, mi guardava contenta diritto negli occhi, sembrava che volesse stendere la mano per fregarmi la gassosa. Aveva capito tutto. Il percorso prevedeva una bella scalinata abbastanza lunga che poi attraverso un terrazzo privato immetteva in via C. Colombo. Questo era il tratto più difficile per me perché salire le scale creava un po’ di fatica con quel caldo e avere quella bibita dissetante fra le mani era la pena più difficile da sopportare. Allora mi sedevo in un angolo delle scale, mi guardavo intorno e prendevo un sorsetto. Le bollicine frizzanti, rinfrescanti e zuccherate si spandevano per tutta la bocca, era così bello che non potevo resistere da farne un altro. Promettevo a me stesso che doveva essere più breve, altrimenti non avrei portato niente a casa. Sorso dopo sorso arrivavo a casa con la bottiglia mezza vuota, col disappunto di mia madre che aveva già previsto tutto. Da bambino la gassosa era l’unica bibita che conoscevo. Era dolce, semplice, fatta di acqua, essenza di limone, zucchero e aggiunta di anidride carbonica che provocava le bollicine. Veniva bevuta da bambini, gli adulti l’aggiungevano al vino bianco o al vino rosso per renderli più frizzantini. Molti, d’estate, preparavano un boccale di vino bianco, tenuto al fresco in cantina, con “percoche” e l’aggiunta della bevanda gassata che era considerata un po’ lo spumante dell’epoca col vantaggio che anche i bambini potevano berla. Non avevamo niente, per cui quel poco ci faceva sentire ricchi e felici!

I materassi di lana

Mia madre, aiutata da altre donne, aveva un bel da fare nel cardare manualmente la lana che era contenuta nei materassi che usavamo noi d’inverno. D’estate, quelli di lana venivano riservati ai “signori” che fittavano la casa. Ogni materasso veniva aperto lateralmente, svuotato del contenuto che veniva lavato e asciugato al sole sul terrazzo. Era un’operazione lunga, ogni pezzo veniva sfogliato, allargato con le dita, mentre la polvere di lana ti entrava nei pori della pelle e nel naso. Il lavoro durava parecchi giorni, dipendeva dal numero degli elementi da rifare. Anche i materassi estivi di crine vegetale o pannocchia che noi adoperavamo d’estate andavano rinnovati, la manutenzione non era così impegnativa come per quelli di lana. In tutti i casi i materassi di vegetali andavano rifatti perché erano stati inutilizzati per un lungo periodo e tante volte animali poco graditi nidificavano. Nonostante lo spessore doppio della stoffa che li conteneva, i vegetali erano come aghi che ti entravano nella pelle mentre dormivi. Dicevano che erano freschi e che d’estate si dormiva meglio. Io li ho sempre odiati perché ogni tanto, come mi muovevo, c’era sempre un filo più rigido che fuoriusciva dalla stoffa per entrarti nella pelle. Per non parlare dei materassi ripieni delle foglie che avvolgevano il mais. Ad ogni movimento corrispondeva un frastuono enorme. Ricordo ancora una coppia di cardatori di lana che sbarcavano ogni anno a Ischia, prima dell’apertura degli alberghi del complesso Rizzoli. Dovevano rinnovare i giacigli con relativi cuscini di tutti gli alberghi della catena. Se non sbaglio si chiamavano Ignaziello e Nunziel. Erano piccolini e di poche parole. A fine giornata uscivano, dallo spazio a loro riservata per il lavoro, bianchi con fili e polvere di lana fin nei capelli, nelle ciglia e sopracciglia, sembravano dei panettieri. Erano come due “pasturielli” usciti dai presepi di San Gregorio Armeno. Dotati ognuno di una tavola fissata su di un carrello con chiodi irti dove venivano adagiati i pezzi di lana mentre un pezzo di legno mobile, a mo’ di altalena, scorrendo doveva rendere i pezzi più soffici. C’erano clienti che erano abituati a dormire su due materassi e quindi si dovevano preparare materassi di supplemento. In quegli anni, usando questo tipo di letto ben mantenuto, le caratteristiche dell’albergo venivano esaltate perché rappresentavano un lusso che andava scomparendo. A Villa Svizzera, dov’ero direttore, i materassi di lana sono stati utilizzati fino al 1978. Con l’avvento della nuova gestione CABAL furono sostituiti i letti con nuovi sommier e materassi a molle della Simmons che all’epoca erano i migliori sul mercato. In seguito sono stati creati materassi di ogni tipo e reti ortopediche molto efficienti, più funzionali ed igienici.Quanta fatica dimenticata! www.peppinodesiano.it

Venuta dal mare

E’ stata una piacevole scoperta conoscere l’esistenza di giovani impegnati nella cultura e nel tenere vivo il ricordo dell’isola d’Ischia. Specialmente in questo particolare periodo storico dell’Italia.Parimenti è stato per me interessante l’aver conosciuto Erminia Turco e suo marito Benedetto Valentino, una coppia di moderni mecenati per la salvaguardia delle tradizioni ischitane. E’ stato un’esperienza di quelle che fanno bene allo spirito e che ti aiutano ad andare avanti.Felicissimo d’aver dato il mio modestissimo contributo nei ricordi del nuovo libro “Venuta dal mare”. In quanto lacchese, pensavo di conoscere bene la storia della nostra amatissima Santa Restituta, invece con mia somma gioia e sorpresa ho appreso tante notizie a me fin’ora sconosciute. Grazie Erminia! www.peppinodesiano.it

Gala di Ferragosto 2020

Proprio ieri sera ho assistito a una scena esilarante, vi si potrebbe scrivere una commedia! Sono stato invitato da alcuni amici di origine ischitana a un cenone di ferragosto che si è tenuto nell’albergo dove loro soggiornavano. Bel pubblico, il grosso era campano con signore abbronzate ed eleganti. L’atmosfera era di quella giusta: un pianista accompagnava il cenone con musica e canzoni appena sussurrate. Il panorama che si godeva dal terrazzo era fantastico: di quelle serate con luci, colori e brezzolina ideale che solo Ischia sa regalare. Poco distante dal nostro tavolo c’era un grosso tavolo di turisti campani tra cui spiccava una signora bionda, vestita elegantemente. Molto loquace, per tutta la serata aveva tenuto banco e dava poco spazio agli altri ospiti. A un certo punto il marito (penso) chiede al cameriere di far venire al tavolo lo chef ai vini. Dopo un po’ di tempo arriva il sommelier. La signora era un po’ seccata per il ritardo. L’addetto si scusa adducendo la particolarità della serata. A quel punto il cliente chiede dello champagne italiano e suggerisce un nome all’addetto che prontamente risponde che la bottiglia richiesta non è fatto col metodo champenoise ma con quello Charmat. Al che la signora, alticcia, inveisce ad alta voce contro il sommellier per aver dato dello “sciarmato” al marito. Piccoli turisti arricchiti!

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P.S. Col metodo Charmat la fermentazione avviene in grossi contenitori pressurizzati e dura da uno a sei mesi perciò più commerciale.

Beata incoscienza della gioventù!

 

Ormai erano passati 15 mesi della mia permanenza londinese e non avevo prese le ferie. Così, prima di recarmi all’Intercontinental di Hannover, pensai di sfruttare l’occasione per fare una puntata a casa, a Ischia, prima del mio trasferimento in Germania.

Sinceramente mi dispiaceva molto lasciare la “Swinging London” con il bel giro di amicizie che m’ero creato all’interno e all’esterno del Savoy Hotel. Fu lì che mi imbattei nelle prime mini gonne, mai viste prima, indossate dalle ragazze inglesi che a gambe erano ineguagliabili, mentre a seno un po’ meno. Mary Quant aveva aperto il suo “Bazaar” a Chelsea, poi a Knightsbridge. Carnaby Street attraeva la più entuasiasmante gioventù da tutto il mondo, dappertutto c’era un belvedere!

Purtroppo dovevo proseguire il mio percorso di Hospitality Training Manager e la lingua tedesca avrebbe richiesto più tempo per apprenderla dato che non l’avevo studiata prima.

Fra la comunità italiana del Savoy si sparse la voce che c’era una compagnia aerea che offriva voli per l’Italia a prezzi molto competitivi, meno del costo di un viaggio in treno. La cosa era molto insolita per l’epoca. Fino ad allora per noi ragazzi un viaggio in aereo era impensabile data la spesa. Non esistevano i voli low cost come oggigiorno.

Il viaggio di andata da Napoli a Londra, in treno, impiegava qualcosa come 36 ore, con vagoni non comodissimi.

Tutti parlavano di un Mr Perry che conosceva l’Italiano molto bene, nei pressi di Victoria Station. Questi offriva voli andata e ritorno per Roma a prezzi stracciati. Un’occasione simile non l’avresti mai avuta, era il 1969! Eccitatissimo mi recai subito alla stazione per incontrare il “benefattore”. Comperai l’agognato biglietto e il giorno fissato m’imbarcai per Roma.

Con mia grande sorpresa a bordo dell’aereo c’erano pochissimi passeggeri e questo mi meravigliò molto dato il prezzo del volo. Infatti pensavo che l’aereo fosse stato pieno, zeppo. Solo allora mi resi conto che la compagnia aerea apparteneva alla El Al Israel Airlines ed era la stessa che a seguito della guerra dei 6 giorni del 1967 era la più bersagliata fra dirottamenti ed attentati!

Proprio l’anno prima, luglio1968,  un aereo della compagnia, un “707” fu dirottato da componenti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e nello stesso anno, a dicembre, lo stesso gruppo dirottò un secondo aereo sempre EL AL.

Nel 1969, in fabbraio, alcuni palestinesi attaccarono un aereo della stessa compagnia. A luglio, un paio di mesi prima del mio imbarco, un altro gruppo del FPLP dirottò il volo di un aereo EL Al fra Roma e Tel Aviv.

Chi si sarebbe imbarcato su un aereo EL AL che frequentemente veniva dirottato o fatto saltare in aria?

Solo l’incoscienza della gioventù porta a fare determinate scelte, unitamente a quello che era Londra nel 1968: un misto entusiasmante di eccitamento e pazzia!

Un pellegrinaggio galeotto!

Ogni anno il parroco, nel mese di settembre, organizzava un pellegrinaggio alla Madonna di Montevergine e alla Madonna dell’Arco. Per noi ragazzi, a quell’epoca, rappresentava il viaggio, era il viaggio più lungo. A volte il pellegrinaggio durava due giorni con pernottamento in un monastero e l’esperienza era ancora più esaltante. La cena abbondante veniva servita in un refettorio dove mangiavamo insieme ai monaci. Mi ricordo di una pasta e fagioli appetitosa e molti di noi richiesero il bis . I miei con altre persone facevano una assortita provvista di castagne, salami e formaggi vari al mercatino che si trovava ai piedi della montagna di Montevergine. Il grosso di queste provvigioni sarebbe stato consumato durante il periodo natalizio.

Quell’anno, approfittando della presenza di mio padre che sbarcò dalla nave ai primi di settembre, mia madre con le sue amiche Giustina e ‘Ndunetta pensarono di andare al Santuario di Pompei anziché a quello di Montevergine. Al ritorno, in attesa dell’imbarco per l’isola, pianificarono di fare una puntatina alla Standa e all’Upim.

A quell’epoca sull’isola erano presenti solo negozietti. Per noi ragazzi di Lacco Ameno l’unico vestito che veniva confezionato era quella per la Prima Comunione. Il sarto era “Michele u sart” nel rione Capitello. Oppure l’abito per quell’occasione veniva “passato” da un fratello o da un cugino. Esisteva qualche negozio di stoffe dove acquistavi qualche “pezzo” pagato con i cordoni o altri lavori di paglia o rafia.

A Ischia in quel periodo non si parlava d’altro magnificando questi grandi magazzini dove potevi provare gli abiti già pronti di tutti i colori e misure.

Una cosa era certa, la realtà superava la fantasia!

Come entrammo all’Upim, le amiche di mamma, che erano “attempate signorine”, alla vista di tutti quegli spazi enormi con scaffali dove erano adagiati in bella mostra ogni sorta di indumenti, andarono in estasi. Si muovevano affascinate in mezzo a tutta quella merce già pronta che andava solo provata. Una musica di sottofondo in filodiffusione si espandeva in tutti i reparti. Erano estasiate, si sentivano come Alice nel paese delle meraviglie!

I locali si estendevano anche in altezza dove c’erano altri prodotti.

Le due, alla vista di una scala mobile, andarono in panico: ai loro occhi sembrava un mostro che volesse stritolarle. Giustina, che era la più emotiva delle due, rimase pietrificata emettendo un grido di terrore e sorpresa che fu accompagnato dalle risate degli altri visitatori presenti. Il movimento continuo della scala la paralizzò completamente cosicché non riuscì a stendere la gamba per salire sul primo gradino. Subito si formò un capannello intorno alle non più giovani ma ancora piacenti signorine. Un signore molto distinto, dall’accento insolito, aiutò Giustina a stendere il passo sulla scala mobile in movimento. Lei era quasi svenuta e si lasciò accompagnare languidamente fino al piano superiore. L’uomo che era un vedovo italo-americano, originario di Sorrento, seguì Giustina fino al momento dell’imbarco per Ischia. In seguito ad una fitta corrispondenza, nel giro di pochi mesi, lo raggiunse in America. Dopo qualche tempo, Giustina mandò a chiamare anche ‘Ndunetta che si sposò con un conoscente del marito!