Vacanze a Ischia per la Merkel

Durante questo lungo periodo di isolamento ne abbiamo viste e sentite di cotte e di crude. Non parliamo del martellamento subito attraverso i media. L’umore era pessimo, se poi ci mettiamo quei sapientini dell’Europa del Nord, l’indignazione e la frustrazione toccava l’apice.  Secondo me la politica e il sistema Europa va rivisto, in particolar modo “i paradisi fiscali” all’interno dell’Europa stessa: dall’Irlanda all’Olanda e da Malta al Lussemburgo. Come anche la delocalizzazione delle imprese all’interno dell’Europa.

In tutto questo bailamme c’era la Germania che tirava i fili. Molti di noi vedevamo Berlino come causa di tutti i guai contro l’Italia, in particolar modo la Merkel.

Anche nei momenti più bui, conoscendo l’affezione che il primo ministro tedesco ha per l’Italia ed in particolar modo per l’isola d’Ischia, sapendo che la stessa ha amici di vecchia data fra gli abitanti di Sant’Angelo, ho sempre sperato in cuor mio che, al di là della politica, l’amore e l’affezione avessero il soparvvento e così s’è dimostrato.

La Frau Doktor Angela Merkel  ha espresso il desiderio di venir in vacanza di nuovo sull’isola d’Ischia. Io suggerirei di costruire un ponte d’oro da Berlino e Napoli”. Questa sua dichiarazione di ritornare a Ischia, su una delle isole più belle del mondo, sta facendo il giro dell’Europa e il nome di Ischia sta girando fra i tedeschi che sono stati da sempre i turisti più affezionati e assidui del nostro “scoglio”. Proporrei inoltre di intestare alla Signora Merkel l’incantevole stradina (da lei tanto amata) o parte di essa che inizia dal parcheggio delle auto elettriche fino ad arrivare alle Fumarole. Sarebbe il minimo! www.peppinodesiano.it

Il canonico Don Tommaso De Siano e la nuova casa sul lungomare di Lacco Ameno.

All’età di sei anni, a seguito di un sorteggio fra i fratelli di mio padre, entrammo in possesso dell’appartamento nella casa dei nonni paterni al Capitello. Finalmente una casa tutta nostra e che casa! Poco distante c’era anche un piccolo giardino con piante d’arance del tipo sanguinelle e tarocco. Piante di limoni così grossi che non avevo mai visto prima chiamati “limoni di pane” per la buccia e il bianco spessissimo, di succo dentro ce n’era molto poco. I cedri erano talmente grossi che a stento si reggevano sui rami. Piante di fichi che maturavano a fine luglio e duravano fino a Natale, si chiamavano fichi “paravis” forse per il sapore, c’era una pianta di pero, in un angolo anche l’albero di lauro. Addirittura mia madre creò un pollaio con 5 galline. Il giardino non era grande ma a me sembrava il Paradiso Terrestre. Da quel momento, in cuor mio, mi son sentito un privilegiato. Mi trovavo all’inizio del lungomare di Lacco Ameno, una casa nostra nel palazzo che era stato costruito dai miei antenati e in prima fila. Il mare è entrato talmente dentro di me che quando sono lontano dall’isola e dal mare sento la necessità di avvicinarmi a qualsiasi corso d’acqua per sentirne il rumore. A sinistra del mio balcone si vedeva “sotto u puort” dove adesso ci sono Il Regina Isabella, lo Sporting e Royal Sporting, più avanti Varulo con Montevico, il complesso della tonnara con gli Appennini. Davanti a questi  Mondragone, Cuma, Monte di Procida, Capo Miseno con alle spalle il Vesuvio, l’isola di Procida, Vivara. Dopo aver preso possesso dell’appartamento, per ristrutturarlo dovemmo fittarlo ai villeggianti e con le mie sorelle ogni anno dovevamo trasportare le nostre cose in una seconda casa. I panni invernali li chiudevamo in un armadio a muro ma pentole, vestiti e ingombri vari venivano portati nell’abitazione di Mezzavia.

Il soprannome

 

Inizi anni ’50, Lacco Ameno contava 2500 anime. Le famiglie venivano indicate non per cognome ma per soprannome come: “capemorte”, “pescetata”, “c…lasn”,”cularuss”, “ciccione”, “spogliacrist”, “pacione”, “ciacione”, “capepurp”, “capemurena”, “u’chiacchiarone”, “c…efierr” e tanti altri nomi molto pittoreschi. I nomi e cognomi erano tutti uguali, non solo nella nostra famiglia. Di Giuseppe De Siano, nel paese di Lacco Ameno, se ne contavano sei: 4 cugini e questo ci provocava una crisi di identità. In compenso rinnovando i nomi potevi risalire facilmente al ceppo originario di ognuno di noi. Il soprannome della famiglia di mia madre era “ambruos”, quello di mio padre “u’cacciator”.
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Il 18 maggio, l’ultimo giorno di festa

Poi il 16 o il 18 di maggio si mangiava “u’palamt” (palamita) che veniva pescato dalla tonnara in grandi quantità. Pure questa è una tradizione, la palamita era tenerissimo e grasso al punto giusto, il modo migliore per gustare questo pesce era sulla brace di carboni bagnato con l’immancabile salsetta composta da pezzettini d’aglio, peperoncino, un pizzico di sale, pepe e una ricca manciata di menta e prezzemolo tritati finemente immersi in olio d’oliva e aceto. Ogni famiglia fuori della baracca aveva un bidone di latta vuoto sui cui bordi era sistemata una “fornacella” acquistata dagli zingari. Lateralmente, a mezza altezza del bidone veniva praticato un taglio a mo’ di porticina che serviva per far passare l’aria e per togliere la cenere dal fondo della latta. La cenere veniva utilizzata come concime vicino alle piante d’aglio che molti coltivavano fuori della porta nelle bacinelle vecchie che un tempo erano servite per lavarsi.
Durante la novena di Santa Restituta si andava a far visita alla cappella a Lei dedicata sopra Montevico, località “Arenella”. Molto probabilmente la cappella votiva fu realizzata da qualche pescatore o navigante di Lacco Ameno come punto di riferimento per chiedere aiuto quando il mare era in tempesta e in caso di pericolo. Ogni volta che salivamo fin lassù per visitare la Santa, puntualmente ci facevamo raccontare la storia di Palmetella e Cannetella che erano due sorelle molto pie e sordomute. La leggenda raccontava che appena i Turchi si allontanarono con le barche, dopo avere raziato il paese, un vento impetuoso impedì loro la navigazione dato il peso del bottino saccheggiato. Per poter proseguire dovettero alleggerirsi e decisero di buttare in mare le campane della chiesa. Palmetella e Cannetella, sorde, il giorno di Santa Restituta si recavano a Monte Vico per sentire il suono delle campane!
A mezzanotte del 18 maggio si concludevano i festeggiamenti che culminavano con gli incantevoli e fantastici fuochi d’artificio, fatti esplodere da Montevico sulla strada che portava al cimitero. Tutta la folla si riversava sul lungomare, il pontile e la spiaggia del paese per ammirare incantati il suggestivo paesaggio che si rifletteva nello specchio d’acqua sottostante la torre saracena. Spettacolo nello spettacolo era l’immancabile incendio delle sterpaglie che abbondavano lungo il costone del promontorio.

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Dal libro “Venuta dal mare”

17 maggio: Santa Restituta

Dedicato a mia madre Titina, a mia sorella Tita e a tutte le Restitute che ci guardano da lassù: Buon Onomastico !

Il giorno di Santa Restituta, quando giravi per i vicoli del rione tutti cucinavano il coniglio, che avevano acquistato o ammazzato un giorno prima. La famiglia di Gelormina, amica di mamma, aveva un piccolo allevamento di galline, polli, conigli, oche e tacchini sulla strada che da Mezzavia portava alla Pannella. Ogni tanto in compagnia di mamma e la sua amica Gelormina andavamo a prendere delle uova direttamente al pollaio e il coniglio che veniva macellato direttamente sul posto. La piccola fattoria era governata dal fratello di Gelormina, di nome Michele, che per far divertire noi ragazzini si rivolgeva al tacchino dicendo: “tacchì fa a signora” e l’animale prontamente allargava le penne colorate a modo di ventaglio, con sorpresa e divertimento di tutti! Il 17 maggio, giorno della festa della Santa, il rione di Mezzavia sembrava un’unica, enorme cucina: dappertutto si sentiva, fin dal mattino, l’odore intenso dell’aglio soffritto nella sugna e olio d’oliva assieme a particolari aromi: piperenella, maggiorana e peperoncino nell’apposito “tiano” (coccio). In questo recipiente si soffriggeva il coniglio a pezzi per poi essere bagnato da un bel bicchiere colmo di vino bianco. Che musica, che profumo sprigionavano quegli aromi: Mezzavia, il Capitello, l’Ortola, Lacco di sopra, il Fango, la Pannella, la Fundera tutte le contrade del paese, in quel giorno, diventavano un sol focolare che faceva resuscitare i morti. In occasione della festa di Santa Restituta, molti parenti dei Lacchesi che abitavano sul continente o in qualche altro comune dell’isola raggiungevano le proprie famiglie per festeggiare insieme la Santa che è la Patrona dell’isola. I bucatini al sugo di coniglio erano d’obbligo. La sera del 17 maggio, all’imbrunire, insieme ad altri ragazzi, con delle barche, andavamo ad adagiare sul pelo d’acqua del mare, i lumini avvolti in carta rossa trasparente che le donne dell’Ortola avevano confezionato durante il periodo invernale. Si studiava bene la brezza dove spirava. L’impatto era di incanto: le luci dei lumini disegnavano una città galleggiante nell’ampio spazio di mare antistante il lungomare di Lacco Ameno. Intanto Santa Restituta raggiungeva via mare le sponde di Casamicciola.

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Dal libro “Venuta dal mare”.

La prima Comunione

Belle e colorate erano le bancarelle del torrone i cui proprietari erano per la maggior parte di Benevento o dell’entro terra napoletano. Il torrone veniva confezionato in pezzi enormi avvolti in carta d’ostia che si scioglieva in bocca. Il più famoso fra i bancarellari era “on Vicienz” che veniva ogni anno con la sua bancarella ed era conosciuto da tutti. La sua merce: torrone con mandorle, mandorle avvolte di zucchero di canna, castagne peste, castagne “inzertate”, le cacuette (noccioline americane), semi di zucca, i lupini, ma soprattutto, Agatina, la figlia di “on Vicienz” era di una bellezza prorompente che attirava, da dietro al banco, l’attenzione di tutti i giovani dell’isola, alla fine si sposò con un italo-americano originario di Casamicciola.
Il 17 maggio giorno di Santa Restituta si prendeva la Prima Comunione e già da qualche mese prima, don Pietro ci spiegava il catechismo facendoci imparare a memoria il Credo, l’atto di dolore, ci spiegava la Messa e i momenti più importanti di essa. Anche per la famiglia era un momento impegnativo perché il ragazzo si doveva scegliere il padrino o la madrina per le ragazze, in genere la scelta cadeva su una delle persone più influenti del paese. Molto spesso la stessa persona ne portava una decina di “comparielli” e a ogni ragazzo faceva dono di un orologio, che all’inzio dell’estate già non funzionava più. Per chi si faceva la Prima Comunione, era prassi che si andasse a mangiare a casa del padrino e dato il momento eccezionale, essendo una persona facoltosa, di conseguenza si supponeva che si mangiassero cose mai provate a casa propria. Per mia sfortuna il giorno della mia prima comunione al momento culminante di andare a mangiare dal mio padrino mi venne un forte mal di pancia che dovetti far ritorno a casa. E pensare che già da molto prima mi ero preparato con lo stomaco a quello che poteva essere il pranzo luculliano preparato per l’occasione dalla famiglia del mio padrino!
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Dal libro “Venuta dal mare”

Testimonianze dell’antica Grecia a Montevico

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Foto dal post di Pasquale Di Meglio

Molto spesso noi ragazzi, in gruppo, andavamo a cercare le “vesacce” tipi di larve che abbondavano a Monte Vico, in località Arenella, per usarle come esche.
Capitava che le trappole le mettessimo sotto le mura del cimitero, lato Lacco Ameno. La strada in alcuni punti era stretta e pericolosa. Dovevamo quindi fare molta attenzione per non finire in uno strapiombo e trovarci nelle fredde acque del mare sottostante.
Durante la pausa, fra una “affacciata” (controllo) e l’altra alle trappole, andavamo alla ricerca di cocci di anfore e piatti di ceramica che portavamo a Don Pietro. Questi era il prete della Chiesa di Santa Restituta, appassionato di archeologia. Proprio in quel periodo stava scavando sotto il Santuario per portare alla luce reperti archeologici di grande importanza. Dagli scavi risultò che sotto la Chiesa c’erano i resti di una basilica paleocristiana.
Si sapeva che all’Arenella si potevano recuperare cocci antichi che non erano ancora catalogati. Ce n’erano parecchi e di differente grandezza, ma una sorpresa l’avemmo in una grotta.
In uno di questi anfratti, dove poi è stato costruito l’hotel extra lusso Royal Sporting, con nostra grande meraviglia vedemmo una massa nera simile a un rotolo di fune. Come ci avvicinammo, questa fune velocemente si allungò e andò ad attorcigliarsi intorno alle gambe di Franchino, salendo lungo il suo pantalone. Il nostro amico, preso da grande spavento, cominciò a gridare e saltare come un ossesso, cadde e si rotolò per terra. Dallo spavento scappammo tutti, vigliaccamente lasciammo Franchino per terra. Solo il più grande di noi, Michele, prese una canna e incominciò a sbatterla sulla testa del serpente che stava avvolto intorno alla gamba destra del nostro amico, i colpi inevitabilmente andavano sia sulla testa del serpente che sulla gamba di Franchino. Finalmente, dopo minuti interminabili, vedemmo il serpente giacere morto a terra. Ammirammo il coraggio di Michele da lontano. Quando il rettile cadde tramortito a terra ci avvicinammo di nuovo alla piccola grotta per aiutare Franchino ad alzarsi e rincuorarlo. Notammo allora che c’erano dei piccoli serpenti e delle uova in dei vasi di terracotta, altri serpentelli giacevano sotto a delle tegole. Spaventati da quell’incontro inaspettato scappammo via definitivamente col nostro amico claudicante. Qualche giorno dopo raccontammo a don Pietro di quell’avventura. Con alcuni suoi collaboratori si recò sul posto da noi indicato e recuperò vasi e cocci, dicendoci che erano antichissimi ed era una testimonianza ulteriore della civiltà greca sull’isola d’Ischia, complimentandosi con noi per la scoperta.

Le giostre di Santa Resistuta

Sulla spiaggia, davanti all’edificio scolastico, venivano sistemate le giostre. Il divertimento più grande per noi ragazzi era la giostra costituita da cavalli bianchi ricoperti da una sella ornata di specchietti sfavillanti.
La giostra veniva spinta a mano da ragazzi del posto che in cambio potevano fare un giro gratuito. I proprietari venivano dal continente, dall’accento non si poteva decifrare la provenienza, erano alti e chiari di pelle, sembravano dei cow-boy anche per via dei cappelli a falda larga. Uno si chiamava Armando, l’altro Pasquale e la sorella Ofelia che era alta e bionda coi capelli lunghi. Ofelia era addetta alla baracca del tiro a segno, dove, se centravi il bersaglio, vincevi una bottiglia di liquore. La baracca veniva presa d’assalto da tutti i ragazzi perché Ofelia era di una bellezza prorompente e voluttuosa. Portava sempre delle camicette fiorite che sottolineavano il suo attraente décolleté. La ragazza ne era consapevole e con movimenti studiati lo rialzava regalando un sorrisetto. Aveva le labbra carnose e sempre coperte da rossetto rosso che incantavano. Quel liquore che si vinceva dava alla testa e allora dovevano intervenire i fratelli per calmare i bollenti spiriti dei ragazzi che volevano conquistare Ofelia.
Oltre alla giostra dei cavalli bianchi ce n’era una elettrica con sedili che giravano velocemente. Qualche volta è capitato che gli occupanti scatenati, per raggiungere e spingere il sedile che era davanti, facessero movimenti esagerati. A quel punto il sedile si sganciava dall’abitacolo, andando a finire a mare. Il divertimento più allettante era l’altalena con barchette. Per farle alzare ci voleva una poderosa spinta iniziale, per continuare a manovrarla era richiesto un gioco di muscoli di gambe e di braccia. L’altalena era fonte di competizione fra i giovani che arrivavano da tutta l’isola per sfidarsi. Vinceva chi faceva alzare la barca più in alto. In conclusione si finiva sempre a mazzate. A volte si cimentavano anche le ragazze. Allora il pubblico era ancora più numeroso perché inevitabilmente come si alzava la barchetta si gonfiavano anche le gonne, si scoprivano le gambe: il boato di voci diventava un coro. Più tradi, le più audaci portavano i pantaloni e questo spettacolo venne meno, comunque era sempre un bel vedere!
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La vestizione di Santa Restituta

Il 15 maggio era il giorno della vestizione della statuta della Santa, veniva ornata con monili d’oro, ex voto, molto pregiati che costituiscono ancora oggi il ricco e prezioso tesoro di Santa Restituta. L’incarico più ambito per noi, era di “tirare i mantici” dell’organo durante la messa cantata e le altre cerimonie. Don Pietro ci ricompensava con 100 lire a testa dopo la cerimonia. Il lavoro consisteva nel girare una leva applicata ad una ruota, che facendola girare manualmente permetteva l’aria di entrare nei mantici che a loro volta la trasmetteva all’organo. Capitava che uno dei ragazzi si distraesse o si addormentasse durante la lunga celebrazione della messa e l’organo restasse muto, allora si sentiva l’urlo di “on Giuan l’organista”, incavolato, tutto rosso in viso, gridare: tirate e maaantici!!!!! Con le risate dei cantori. Il 16 maggio era il primo giorno di festa e nel tardi pomeriggio la Santa veniva portata “a spalla” in processione fino a San Montano. Non c’era la rappresentazione del martirio sulla spiaggia come avviene oggi. Le luminarie erano accese, le bancarelle invadevano tutto il centro di Lacco, ce ne erano talmente tante che a stento riuscivi a passare, tanti bambini si smarrivano per strada, venivano condotti in chiesa piangenti dove un parente era lì ad attenderli. In questi giorni tutte le mamme del posto facevano il giro di perlustrazione per il mercatino delle bancarelle, studiandone i prezzi. La maggior parte delle donne di Lacco aspettava l’ultimo giorno per fare gli acquisti, dopo aver ben osservato cosa comprare, erano dell’idea che alla fine della festa i bancarellari, per non portarsi la roba invenduta dietro, avrebbero ceduto la merce ad un prezzo migliore. In occasione della festa si rinnovavano le pentole della cucina, i piatti, i bicchieri, posate nuove e quanto altro potesse servire per attrezzare le case da fittare ai villegianti che venivano nel periodo estivo in vacanza.  

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Dal libro “Venuta dal mare”

Otto maggio, inizio novena di Santa Resituta

Dopo la Pasqua, a distanza di qualche mese, ricorreva la festa di Santa Restituta, la cui novena iniziava l’otto di maggio. A mezzogiorno dopo la processione per il paese, da San Montano al Capitello e la recita della supplica in onore della Madonna di Pompei, avveniva l’alzabandiera sopra al piccolo campanile della chiesa, accompagnato da fragorosissimi e lunghi spari detti “Diana”: la festa era iniziata!
Dai primi giorni di maggio arrivavano gli “apparatori” le persone addette all’illuminazione. La strada principale del paese veniva riempita di pali blu altissimi, sostenuti da fili di ferro ancorati vicino ai muretti che costeggiavano il corso, servivano a sorreggere il disegno delle luci colorate da una parte all’altra della strada. Gli operai si arrampicavano come scimmie su questi pali altissimi mediante delle scale leggere e alte. Il disegno delle luminarie cambiava ogni anno ed era sempre qualcosa di spettacolare. All’altezza del pontile, veniva eretto il “capostrada” che era l’addobbo di luci più importante, a volte rappresentava una cupola di una chiesa, il firmamento, motivi floreali, era sempre gigantesco e di grande impatto. Capitava che per il forte vento o per l’altezza spropositata esso veniva giù, i Lacchesi lo interpretavano come un cattivo auspicio per il paese.
Anche gli zingari erano i primi ad arrivare a Lacco in occasione della festa, stazionavano nella zona di “sott u’ puort”, gli adulti ci intimavano di non rivolgere loro la parola perché “rubavano i bambini”: il terrore fra noi era enorme! Durante i festeggiamenti di Santa Resituta, oltre i vicoli delle baracche non andavamo e se qualche volta per andare a scuola ne incrociavamo qualcuno, cambiavamo direzione. Erano molto esperti nel lavorare il ferro e per la riparazione di pentole di rame e caldaie che servivano per bollire le bottiglie di salsa di pomodoro. I vecchi del rione raccontavano che durante il periodo fascista tutte le caldaie di rame furono requisite per finanziare le guerre espansionistiche del regime. Molte persone le sotterravano per non cederle.
I riti della novena erano seguiti da tutte le famiglie del paese e noi ragazzi già da piccolissimi prendevamo parte alla funzione come chierichetti, con sottana rossa e la cotta bianca. I ragazzi dell’Ortola, perché la chiesa era più vicino a loro, facevano da padroni, si diceva che nell’Ortola c’erano le parenti di Santa Restituta.
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Dal libro “Venuta dal mare”