E’ difficile spiegare oggi come facessero gli isolani a sopravvivere senza acqua corrente negli anni precedenti la venuta di Angelo Rizzoli sull’isola d’Ischia. Anche qui provo a spiegare quel momento storico attraverso la mia esperienza. Come detto in precedenza, dopo il terremoto del 1883 il grosso degli abitanti di Casamicciola, Lacco Ameno e Forio furono sistemati in delle baracche di fortuna. Non c’erano pozzi di raccolta d’acqua comune e l’unica fonte potabile e libera per l’approvvigionamento era quella del “pisciariello” in via IV Novembre. Con l’uso quotidiano di quest’acqua gli abitanti di Lacco Ameno si distinguevano dagli altri isolani per il colore scuro dei denti per la composizione di essa. Si diceva che i lacchesi avessero i denti “cacati”. Nei rioni ci si arrangiava. I proprietari delle case che non avevano subito danni dal terremoto mettevano a disposizione le loro cisterne d’acqua piovana al fabbisogno dei vicini. L’acqua era un bene prezioso! Molto spesso erano presenti, presso privati, delle sorgenti d’acqua leggermente salata ma buona per qualsiasi uso domestico e molti attingevano l’acqua a queste fonti. L’acqua del “pisciariello” con un sol rubinetto disponibile doveva soddisfare la sete di tutti i locali e, d’estate, anche dei turisti che stavano in fitto. Nacquero così le acquaiole che si recavano alla fontana per attingere acqua: la più conosciuta era Chiarina, piccolina, ben piantata, che era capace di trasportare, senza fermarsi per strada, un’anfora in testa e due sui fianchi colme d’acqua. Con le mance ottenute da questi servizi Chiarina tirava avanti la sua famiglia. Molto spesso succedevano scontri nella fila per approvvigionarsi. Bastava un movimento incauto e le anfore si rompevano per non parlare dei boccioni di vetro che al minimo contatto si frantumavano in mille pezzi. Allora le zuffe erano violente e pericolose specialmente per i vetri rotti, molti di noi eravamo scalzi. Quando tornavi a casa senza bottiglie o anfore (mummule e lancelle) ti aspettava un caloroso “paliatone” dai tuoi genitori senza sentire ragioni. www.peppinodesiano.it
Un altro momento di gioia era verso sera quando arrivava Pasquale, il capraio, con le sue numerose pecore scampanellanti: Ciurella, Ngiulina, Ninnella, Ginetta, Nanninella a’ngazzosa, Ricciulella, Pupatella e via dicendo. Lui raccontava che erano nomi di donne da lui conosciute e a chi per omaggio e a chi per sfregio aveva dedicato il nome a seconda del tipo di pecora. Tutti noi bambini andavamo da lui con 10 lire e una fetta di pane per farci fare una spremuta di latte sul pane; quello di Ricciulella era il più saporito e schiumoso. Vincenzo, piccolo ed agile com’era, riusciva a infiltrarsi e mimetizzarsi fra le pecore e oltre a farsi la sua spremuta gratuitamente si faceva la succhiata a sbafo direttamente dalla pecora. Proprio per la sua audacia era ben voluto da tutti. Anche Pasquale faceva finta di non vedere. A volte Vincenzo mangiava a casa mia, altre volte andavo da loro: abitavamo così vicini e mi ricordo che a casa sua si mangiava sempre pesce che il padre portava quasi ogni sera. Zi Tutina li sapeva cucinare in tutte le maniere: all’acqua pazza, al sugo di pomodoro e peperoncino oppure lessati pieni di succo di limone, a volte con aceto e per tutta la casa c’era un odore molto forte di menta, d’aglio e di origano. Sembrava che il mangiare da loro fosse più buono del mio. A mia madre lui chiedeva sempre il minestrone fatto di tante verdure e pasta oppure quando mamma faceva i panzarotti lo vedevi arrivare prima che incominciassero a friggere, era una festa! www.peppinodesiano.it
La prima azione di Rizzoli che suscitò ammirazione fu regalare a un ragazzo poliomelitico una sedia a rotelle. Più tardi gliene regalò una elettrica e poi un kiosco, colorato e tutto nuovo, adibito a vendita di profumi. Peppino era un bambino unico, paralitico dalla nascita e camminava strisciando a terra. L’unico mezzo di locomozione per lui era una carrozzella con ruote di legno con cui i suoi amici talvolta lo portavano in giro per il paese. Peppino partecipava a tutti gli incontri-scontri dei rioni, era benvoluto da tutti. Quando cantava incantava, era un po’ il Luciano Taioli dell’epoca. Rizzoli arrivò di primavera, a seguito di segnalazioni fattagli dal ginecologo Dott. Malcovati che negli anni ’50 era un’autorità nel campo medico e contava fra i suoi clienti i personaggi più prestigiosi della Milano bene. Fu lui a magnificare le proprietà delle acque termali di Lacco Ameno a Rizzoli che, per il suo fiuto per gli affari, puntò sull’isola D’Ischia. La popolazione di Lacco Ameno fu più aperta ai progetti dell’imprenditore credendo in ciò che per gli altri sembravano sogni. Infatti voleva trasformare Lacco Ameno e l’isola da paese di pescatori e contadini in stazione turistica termale e balneare di prim ordine. Anche le altre autorità dell’isola fecero da supporto ai progetti del commendatore. Si ampliò e migliorò la viabilità della strada statale che collegava i vari comuni dell’isola. www.peppinodesiano.it
Fu a Mezzavia che incominciai a sentir parlare dalle persone anziane del rione di un signore ricchissimo di Milano. Questi era venuto a Lacco Ameno ed era interessato a ripristinare le vecchie terme: la fonte romana, la fonte greca e creare un complesso alberghiero di lusso al posto di quello esistente, l’albergo Santa Restituta dei Capasso. Quando l’ho visto per la prima volta arrivare a Lacco Ameno scendeva col suo seguito dalla motonave “Sereno” accolto dall’autorità dell’epoca, il sindaco prof. Vincenzo Mennella e don Luigi Ciannelli, sempre vestito di scuro. All’inizio mi aspettavo, data la fama di uomo ricchissimo, potente che doveva essere grosso e grasso coi baffi, il sigaro in bocca. Invece Angelo Rizzoli era piuttosto piccolo di statura e anche abbastanza “in carne” ma emanava, con lo sguardo e il viso sorridente, sicurezza, simpatia e rispetto. Un suo segretario distribuiva carte da cinquemila e diecimila lire, grosse quante un lenzuolo. La gente si accalcava intorno , non c’era scorta, anche successivamente mai nessuno l’ha importunato. A Lacco si sentiva di casa. Come prima cosa entrò in contatto con Don Pietro, il rettore della chiesa di Santa Restituta e poi con l’amministrazione. Don Pietro oltre ad essere uomo di cultura, era un grosso affabulatore. Infatti in seguito arrivarono politici e prelati potentissimi che fecero sempre capo a lui. www.peppinodesiano.it
Mario era un bel giovane con
una prepotente gioia di vivere e una voce calda, un fisico aitante, due occhi
verdi accattivanti ma adesso che il successo gli arrideva dovette entrare a patti con chi gestiva il
raket: “la mano nera” si era accorta di
lui! I soldi incominciavano a circolare e
lui non aveva dimenticato la moglie di suo fratello Vincenzo che ormai
aveva una bambina. Anche la famiglia della zia, che l’aveva cresciuto insieme
alla nonna materna, beneficiarono della sua riconoscenza.
Veniva invitato a suonare nei
matrimoni di famiglie italoamericane che
avevano il controllo sulle attività commerciali, alberghi e casinò. La stella
di Mario incominciava a prendere quota, tornava sempre più di rado al ristorante
e Ingrid gli faceva scenate di gelosia non sopportando che la sera lui non
facesse ritorno a casa. Le sue assenze erano sempre più numerose fino a quando
la compagna dopo un ulteriore litigio decise di mollarlo. Mario non ne soffrì
affatto, anzi festeggiò questa ritrovata libertà. Grazie alla sua voce calda e
confidenziale incominciò a farsi largo fra gli ambienti più esculusivi di Las
Vegas. Era un bel ragazzo, ottimo parlatore ed era molto richiesto e apprezzato
per la sua gioia di vivere contagiosa, era come un bambino che assaporava tutto
ciò che era nuovo. Specialmente le donne lo trovavano affascinante, se lo
contendevano. Conobbe persone influenti che l’introdussero in ambienti sempre
più ricercati. In questo eccitante turbinio incontrò Diane: più grande di
parecchio rappresentava la mamma che non aveva mai avuto, di carattere molto
forte e possessiva, che lo voleva solo
per sè. Era molto introdotta negli ambienti dei casinò e dello spettacolo. Gli
offrì la possibilità di cantare in uno dei ballroom più frequentati di Las
Vegas. Ormai stava scalando lentamente anche il dorato mondo dello show
business. Diane adorava la vita di Las Vegas coi suoi nights, casino e cercava
di frenare la voglia di Mario di trasferirsi. Incominciarono dei contrasti fra
i due, Mario era smanioso di cambiare città, la sera rientrava tardi e si
intratteneva con nuove ragazze che condividevano i suoi progetti. Diane era
innamorata pazza del giovane e non voleva perderlo forse per lei rappresentava
il figlio che non aveva avuto. In questa città, teneva le redini di un grosso
giro di affari e amicizie influenti. Aveva promesso al giovane di pazientare
chè nel giro di qualche tempo gli avrebbe fatto avere l’ingaggio da lui tanto
ambito. Mario aspettò ma il momento che lui agognava tardava a venire. Ormai
era deciso a lasciare quella città dello svago e gioco d’azzardo per tentare la
scalata di New York che era stata la città che lo aveva incantato. Il desiderio
dell’intraprendente ragazzo era tentare la scalata di Broadway dove si
esibivano le stelle più conosciute del mondo. Erano giorni ormai che lui non
tornava a casa, viveva una nuova avventura con una ballerina di burlesque bella
e ambiziosa, anche lei alla ricerca di un posto al sole. Il locale dove la
ragazza si esibiva era sotto il controllo di un clan che apparteneva al giro di
amicizia di Diane che non aveva mai accettato l’abbandono di Mario. Un losco
ceffo una sera attese la nuova amica del giovane fuori dal locale, la portò con
un coltello puntato alla gola in un vicolo adiacente il night minacciandola che le avrebbe sfregiato il viso
lasciandola crepare vicino ai bidoni dell’immondizia. Se voleva aver salva la
vita doveva aprire il gas mentre il suo nuovo amante dormiva. Una notte, sotto
la minaccia di morte la ragazza aprì l’interruttore del gas e abbandonò Mario al
suo sonno eterno!
Così
s’infranse nella maniera più tragica l’esperienza americana di Vincenzo,
Alfredo e Mario.
A seguito di un voto fatto a Santa Restituta dagli abitanti di Casamicciola e di tutta l’isola d’Ischia, in caso fossero stati risparmiati dalla peste, sarebbero venuti, a piedi, a Lacco Ameno il lunedì di Pasqua. Gli unici a mantenere viva la promessa furono gli abitanti di Casamicciola. La festa diventava ancora più importante perché molti di essi erano imparentati con gli abitanti di Lacco. Anche io avevo un sacco di cugini e parenti che rivedevo in quella ricorrenza. Che atmosfera! Si andava a mangiare in riva al mare sulla spiaggia di San Montano, oppure nei boschi di Zaro, dove incontravi altri nuclei familiari che tutti assieme erano venuti come si diceva “a mettere il culo all’erba”. In quell’occasione si mangiava salame e vari tipi di formaggi e le uova colorate reduci dalla battaglia del tozza-tozza. In tutte le comitive campeggiava il famoso “casatiello” che consisteva in una ciambella rotonda, farcita di formaggio piccante, pepe e salame e con sopra uova ingabbiate in strisce incrociate di pasta di pane. Non mancava la regina della festa: la pastiera di grano aromatizzata coi fiori d’arancio la quale si sposava perfettamente con tutti i profumi primaverili che ti circondavano!
Siamo tornati indietro nel tempo, fino a qualche mese fa chi l’avrebbe mai pensato di trascorrere un’esperienza simile, non solo a Ischia, in Italia ma in tutto il mondo?! Tutt’intorno il silenzio tombale, rotto dal suono di una sirena di un’ambulanza lontana che si arrampica verso Serrara oppure dal microfono della protezione civile che ti intima di non uscire da casa se non per la spesa. L’auto dei vigili urbani o dei carabinieri passano una volta al giorno fuori casa per sorvegliare. Anche la natura circostante che è così prodiga coi colori della primavera e il cinguettio degli uccelli sembrano che stiano a guardia per intimarti di non muoverti perché se esci dal tuo guscio c’è il virus pronto a colpirti: Serena Pasquetta! www.peppinodesiano.it
Gli Stati uniti erano in pieno sviluppo, era il posto ideale per impiantare un’attività. Vincenzo, il più grande contava di tornare in Italia per condurre con sé la moglie e il loro nascituro. La vita nelle miniere di carbone era molto dura anche qui la sfruttamento e le condizioni di lavoro erano impressionanti. Si doveva scendere nelle viscere della terra, l’aerazione era limitatissima. Moltissimi erano bambini di tutte le etnie, erano stati adescati e reclutati sia sulle navi che sul porto di Ellis Island dove vagavano da soli o erano sfuggiti al controllo dei parenti. Venivano tratti in schiavitù e avviati alle miniere e lavori più umili. Erano considerati carne da macello, venivano privati dell’innocenza e dell’infanzia. Alfredo e Vincenzo cercavano di confortare specialmente i ragazzi italiani, provenienti dal Nord e Sud dell’Italia, con i quali era più facile comunicare. Alfredo in particolar modo, anche se era affaticato e stanco dai turni massacranti, si dedicava parecchio ai ragazzi raccontando loro vari episodi della Bibbia che aveva approfondito nel corso del suo lavoro in tipografia a Napoli. I ragazzi erano affascinati dai racconti di Alfredo che parlava loro del Paradiso terrestre, di Adamo ed Eva e la cacciata dal Paradiso. Raccontava di Caino e Abele, di Giuseppe venduto dai fratelli, di Noè, della Torre di Babele, dava un po’di sollievo in quell’ambiente malsano. Purtroppo nel giro di sei mesi di permanenza alle miniere, Vincenzo si ammalò e nel giro di poco tempo morì di polmonite lasciando la moglie che dopo pochi mesi partorì una bella bambina a cui diede il nome del padre: Vincenza. Date le avversità climatiche e le terribili condizioni di lavoro, dopo poco tempo, anche Alfredo si ammalò e seguì il fratello nell’aldilà, lasciando un grande vuoto fra i ragazzi e la comunità italiana. Mario era terrorizzato, nel giro di nemmeno un anno aveva perso due fratelli, rimase da solo in terra straniera. Così pensò bene di lasciare quel girone infernale delle miniere. Tornò di nuovo a New York ma non nella zona malfamata dove aveva avuto il primo contatto con l’America ma nei quartieri dove si trovavano gli italiani che avevano avuto successo. Lavorava presso un ristorante dove aveva la possibilità di frequentare un corso serale di lingua inglese. Al corso di lingua incontrò e si innamorò di una ragazza svedese di nome Ingrid che si trovava coi suoi genitori già da anni in America. Dopo due anni il suo inglese era quasi perfetto, riuscì ad inserirsi lentamente nel mondo della ristorazione. Grazie alla conoscenza della lingua francese appresa a Marsiglia, dove era rimasto per sei mesi, scalò velocemente la scala gerarchica del personale fino a diventare un giovanissimo direttore di sala. Con Ingrid da New York si spostarono a Las Vegas che si stava sviluppando prepotentemente. Sbucavano grandi alberghi con annessi casinò. Le banche finanziavano i nuovi investimenti, insieme alla sua compagna svedese misero su un ristorante tutto loro con specialità della cucina napoletana. La sera quando la sala era stracolma di clienti, Mario prendeva la sua chitarra e intonava canzoni napoletane riscuotendo sempre più il favore del pubblico come cantante e ristoratore. Le signore che frequentavano il locale si scioglievano al suono della sua chitarra.
Ero seduto su di una panchina nel giardino di Baia Sorgeto. Margot e Lupin a fianco a me ed io a leggere un libro di Gianfranco Carofiglio per la seconda volta a mia insaputa. Mi capita spesso di leggere un libro due volte non perché l’abbia deciso di mia spontanea volontà ma semplicemente perché mi dimentico in genere dei libri letti. A volte, dato che leggo molto un libro dietro l’altro, mi capita di comperarlo per due volte. La scelta cade sempre su autori che mi piacciono e poi scopro lentamente, mentre vado avanti nella lettura, di averlo già letto molti anni prima. Ormai è più di un mese che a causa del corona virus siamo costretti a stare tutti barricati in casa, per fortuna ci sono i social che ti tengono compagnia specialmente con persone amiche. Molto spesso capita che alcuni della tua età non hanno fb e quindi son tagliati fuori dai contatti, altri invece sono scomparsi prematuramente e la cosa è ancora più triste. Mai come adesso mi accorgo dell’utilità del computer, in particolar modo di fb che ti permette di entrare in contatto con persone vicine e lontane che in un modo o nell’altro hanno fatto parte della tua esistenza. Per me è una ricchezza infinita che mi allevia dalla privazione della lontananza dai miei figli e delle splendide nipotine. In compenso posso parlare e vederle tramite whatsup e col loro sorriso, capricci ed entusiasmo, ti sollevano dalla noia dovuta alla clausura. Poi c’è la possibilità al mattino di leggere le notizie attraverso i giornali on line, da quelli locali a quelli dei paesi più remoti. Scambiare emozioni e commenti con nuove conoscenze avvenute attraverso il web e mai incontrate personalmente. Oppure ex allievi e collaboratori che ti son rimasti affezionati lungo l’arco degli anni. Comunque la cosa che mi colpisce di più in questo pomeriggio di sabato 4 aprile è l’immobilismo che mi circonda. Malgrado il bel tempo tutto è fermo. Se incroci da lontano qualche raro passante che abita nelle vicinanze, sembra che si trascini sulle spalle la mestizia e la preoccupazione del momento. La cosa che mi ha fatto riflettere è stata la dipartita di un parente e di amici di cui in tempi normali avresti partecipato al dolore.
Negli anni passati era tutto un fermento. In questo periodo le case private venivano tinteggiate, i muri esterni degli alberghi, ville, residence, bar, ristoranti: era una corsa febbrile contro il tempo. L’intervento dell’elettricista, dell’idraulico era di primaria importanza altrimenti non potevi andare avanti con gli altri lavori. Il giardino da sistemare con nuova fioritura. I camioncini delle ditte di materiale edile carichi di mattoni, ferri, cemento non ce la facevano ad esaudire le richieste di tutti. Allora, tante volte, dovevi svegliarti prima perché loro iniziavano le consegne al mattino presto. Il telefono squillava in continuazione, tu pronto a correre per non perdere la chiamata altrimenti sarebbe stata una prenotazione persa. Si è dovuto per forza di cose imparare a rispondere le mail perché tutto il lavoro ormai arrivava da lì. I turisti che già soggiornavano sull’isola scendevano verso Baia Sorgeto per approfittare del bel tempo e fare un bagno nelle acque calde. Seduto sulla sedia davanti alla maiolica di Santa Restituta, al sole, sono intento a leggere i messaggi di FB. In un attimo scorrono i miei ricordi, la vita, tante figure di clienti che con l’andar degli anni sono diventati amici, in particolar modo il pubblico tedesco, affezionato come solo il popolo tedesco sa essere. Ho davanti la foto con dedica di Helmut Schmidt regalatami dalla moglie, come anche una foto del grande Maestro, austriaco, donatami dalla moglie Eliette von Karajan e della stessa Presidente Angela Merkel a seguito di un bouquet di fiori inviatole durante uno dei suoi soggiorni ischitani. Questi sono i personaggi famosi che ho conosciuto nel tempo sull’isola d’Ischia. Non mancano i ricordi del pittore Max Ernst che era ospite all’Intercontinental di Hannover, poco espansivo, ma con me tanto cordiale da fare una caricatura del mio profilo, anche se non era il suo stile. Willie Brand che quando entrava in albergo veniva sempre a stringere la mano. Che dire della grande moltitudine di clienti, colleghi che nel tempo son diventati amici tedeschi, persone bellissime, con cui tuttora scambiamo idee, auguri e sensazioni durante il corso dell’anno. Pensare che la seconda lingua, sull’isola d’Ischia, contrariamente ad altri posti della Campania, è il Tedesco perché a Ischia i Tedeschi sono di casa. Non per niente il primo parco termale dell’isola “Giardini Poseidon” è stato ideato da Gernot Walde, medico (umanista) tedesco. Mi dispiace sinceramente tutto quello che sta succedendo e mi auguro che la famiglia europea si rinsaldi ancora di più nel momento della “Prova”. A tutti, Tedeschi e Conoscenti auguro insieme a mia moglie Rosa Thea un “Sereno periodo pasquale”. www.peppinodesiano.it
Vincenzo, Alfredo e Mario raggiunto il porto di Le Havre per treno dovettero attendere qualche giorno per trovare dei posti in terza classe su una delle navi che partiva per l’America. La zona era affollata da una umanità contrastante: migliaia di famiglie felici di partire per gli Stati Uniti e, gente disperata per cui l’America era l’ultima spiaggia. I fratelli trovarono tantissimi Italiani e emigranti provenienti dal Belgio, Svizzera, Austria, Ungheria, Polonia, Germania e altri paesi dell’Est Europa. Il viaggio per New York durava circa una settimana. I passeggeri erano stipati in cuccette maleodoranti con l’igiene al limite della sopportazione. C’erano gang di malfamati che cercavano di sopraffare i più deboli. I tre riuscirono a trovare una sistemazione tutti vicini in modo da proteggersi. Una volta lasciato il porto la nave fu investita da onde spaventose, gigantesche, i tre fratelli non assaggiarono cibo per paura di rimetterlo appena dopo. Bambini piangevano, molte persone non arrivarono vive alla meta, l’atmosfera era triste e preoccupante. Incontrarono altri connazionali, il grosso avrebbe raggiunto parenti ed amici. C’era qualcuno che raccontava essere la terza volta che provava ad entrare in America: precedentemente era stato ritenuto inidoneo per salute. Consigliava loro di non farsi vedere intimiditi ma nemmeno spavaldi, di non dichiarare di essere comunisti o anarchici al momento del controllo sull’isolotto di Ellis Island chiamata anche “l’isola del pianto” da quelli che venivano respinti e negati di visto d’accesso. Tanti disperati non avendo soldi per tornare o per non affrontare di nuovo la traversata di ritorno si buttavano in mare lasciandosi annegare. Molti avevano venduto casa, terreni e venivano respinti dalla commissione americana. C’erano storie tragiche: bambini che dovevano raggiungere un parente, ragazze che venivano raggirate prima con la speranza di un lavoro e poi, arrivate a destinazione, sarebbero state costrette a prostituirsi. La maggior parte dei passeggeri era diretta a New York. Dopo una sofferta navigazione, al settimo giorno i fratelli toccarono terra, smagriti e sofferenti. Erano migliaia gli emigranti che dovevano passare il controllo. Colsero l’occasione per mangiare qualcosa, un po’ di brodo caldo per tirarsi su in una di quelle bettole che stavano intorno al porto. La situazione era orribile: emigranti sbarcati da altre navi con la misera mercanzia che si portavano dietro. I tre, dopo lunghe ore d’attesa, riuscirono a raggiungere i medici che effettuavano il controllo in uno stanzone. Fatti spogliare e richiesti della destinazione furono ritenuti idonei. Raggiunta NY, incontrarono lo zio che venne ad accoglierli. Subito si resero conto della triste situazione che regnava nella città e per come gli italiani erano considerati e trattati. I due fratelli più grandi erano già aperti al mondo dopo aver trascorso la loro infanzia nell’orfanotrofio e le strade di Napoli. Il ghetto di Mulberry street, dove furono accolti, era frequentato da malavitosi pronti ad estrarre il coltello. Il distretto era abitato da tante razze: cinesi, giapponesi, africani. I più numerosi erano gli Italiani provenienti per la maggior parte dalle regioni del Sud. C’erano clan siciliani che si facevano concorrenza fra loro per mantenere il controllo del territorio . Anche i ragazzi che non conoscevano scuole vivevano d’espedienti, al limite della società civile. I tre, vista la situazione del quartiere, decisero di trasferirsi nelle miniere del West Virginia. Contavano di fare qualche anno di sacrificio, accumulare un gruzzoletto e andare in California, dove era presente già una comunità ischitana e il clima era simile a quello di loro provenienza. www.peppinodesiano.it