A Santa Rstituta e fave so arrennut, quagli e turtur so furnut.
Con questo detto terminava la stagione della caccia e anche per noi ragazzi indicava la fine del periodo di cattura degli uccelletti con le trappole.
C’era una gara fra noi a chi prendeva più volatili. Da considerare che a quell’epoca la cacciagione era una necessità, non uno sport. In seguito, col benessere, si
sono diffuse alimentazioni alternative come quelle dei vegetariani, vegani ed altre.
Molto spesso noi ragazzi, in gruppo, andavamo a cercare le “vesacce” tipi di larve che abbondavano a Monte Vico, in località Arenella, per usarle come esche.
Capitava che le trappole le mettessimo sotto le mura del cimitero, lato Lacco Ameno. La strada in alcuni punti era stretta e pericolosa. Dovevamo quindi fare molta attenzione per non finire in uno strapiombo e trovarci nelle fredde acque del mare sottostante.
Durante la pausa, fra una “affacciata” (controllo) e l’altra alle trappole, andavamo alla ricerca di cocci di anfore e piatti di ceramica che portavamo a Don Pietro. Questi era il prete della Chiesa di Santa Restituta, appassionato di archeologia. Proprio in quel periodo stava scavando sotto il Santuario per portare alla luce reperti archeologici di grande importanza. Dagli scavi risultò che sotto la Chiesa c’erano i resti di una basilica paleocristiana.
Si sapeva che all’Arenella si potevano recuperare cocci antichi che non erano ancora catalogati. Ce n’erano parecchi e di differente grandezza, ma una sorpresa l’avemmo in una grotta.
In uno di questi anfratti, dove poi è stato costruito l’hotel extra lusso Royal Sporting, con nostra grande meraviglia vedemmo una massa nera simile a un rotolo di fune. Come ci avvicinammo, questa fune velocemente si allungò e andò ad attorcigliarsi intorno alle gambe di Franchino, salendo lungo il suo pantalone. Il nostro amico, preso da grande spavento, cominciò a gridare e saltare come un ossesso, cadde e si rotolò per terra. Dallo spavento scappammo tutti, vigliaccamente lasciammo Franchino per terra. Solo il più grande di noi, Michele, prese una canna e incominciò a sbatterla sulla testa del serpente che stava avvolto intorno alla gamba destra del nostro amico, i colpi inevitabilmente andavano sia sulla testa del serpente che sulla gamba di Franchino. Finalmente, dopo minuti interminabili, vedemmo il serpente giacere morto a terra. Ammirammo il coraggio di Michele da lontano. Quando il rettile cadde tramortito a terra ci avvicinammo di nuovo alla piccola grotta per aiutare Franchino ad alzarsi e rincuorarlo. Notammo allora che c’erano dei piccoli serpenti e delle uova in dei vasi di terracotta, altri serpentelli giacevano sotto a delle tegole. Spaventati da quell’incontro inaspettato scappammo via definitivamente col nostro amico claudicante. Qualche giorno dopo raccontammo a don Pietro di quell’avventura. Con alcuni suoi collaboratori si recò sul posto da noi indicato e recuperò vasi e cocci, dicendoci che erano antichissimi ed era una testimonianza ulteriore della civiltà greca sull’isola d’Ischia, complimentandosi con noi per la scoperta.
Month: July 2019
Winston Churchill
Il balcone di casa al “Capitello” offriva sempre nuove emozioni.
Quando il cielo era terso e chiaro vedevo il litorale di Baia Domizia con alle spalle l’Appennino che d’inverno aveva le cime innevate. I gabbiani, che non erano numerosi come adesso, intrecciavano giravolte nel cielo e con le loro grida festose aspettavano che i pescatori nel pulire le reti buttassero loro qualche testa di pesce impigliata nelle reti. Con gioia indescrivibile, si scorgeva, di tanto in tanto in lontananza, il passaggio dei delfini che sbucavano dall’acqua e con grossi salti si immergevano di nuovo. Sembrava di assistere a una gara di corsa
La vista della casa al Capitello
Dalla casa al “Capitello” iniziò l’apertura alla vita nuova
Se prima dalla mia casa di Mezzavia vedevo il mare a tratti , la casa del Capitello era una poltrona in prima fila, direttamente sul mare. Gli antenati avevano scelto bene dove ubicare il palazzo. Avevo il controllo totale. Mi sedevo per terra, sul balcone di casa, con le gambe penzoloni fra le ringhiere e ammiravo la punta di Monte Vico da cui partiva un cavo che teneva ancorate le barche della