Era maggio 1945

La tragedia della seconda guerra mondiale si era conclusa, sull’isola d’Ischia la popolazione gioiosa partecipava a tutte le feste, l’euforia era alle stelle. Morti e povertà lasciarono lo spazio all’ottimismo e alla voglia di ricostruire e iniziare un nuovo percorso di vita. Le perdite subite erano enormi e molti decidevano di lasciare l’isola in cerca di nuovi orizzonti. Era il 17 maggio del 1945 e quell’anno la festa di Santa Restituta si decise di farla in grande stile coi soldi raccolti fra gli emigrati d’America. In tale occasione cominciarono a venire dall’entroterra campano le colorate bancarelle di torrone e il baraccone del tiro a segno. I giovani dell’isola colsero l’occasione per raggrupparsi e partecipare ai festeggiamenti della Santa Patrona. Molti di loro avevano partecipato alla guerra e si recavano dalla Santa per ringraziarla di averli fatti ritornare a casa sani e salvi. I mezzi di trasporto erano scarsi e solo qualcuno possedeva qualche camioncino o mulo. La maggior parte si muoveva a piedi oppure tramite carrozze che abitualmente fungevano da mezzo di trasporto per materiale come calce, cemento, ortaggi e ogni sorta di vettovaglie. Alcuni contadini adoperavano la carretta tirata da un mulo, asino, cavallo o bue come mezzo di trasporto per la famiglia. La ricorrenza di Santa Restituta segnava l’inizio della bella stagione e la partecipazione alla festa era sentita anche perché la Santa annoverava parecchi fedeli in tutta Ischia. Il nome Restituta veniva rinnovato diffusamente non solo a Lacco Ameno. Le comitive di ragazzi e ragazze festanti arrivavano da ogni angolo. Dopo la processione c’era una banda di musica venuta da Forio per allietare la serata con pezzi di musica classica e cantanti lirici che erano molto apprezzati. Il palco della banda veniva collocato nel centro della piazza, davanti alla chiesa. Dopo la processione, prima che la statua della Santa venisse portata in chiesa, nel posto dove oggi si trova l’Hotel la Reginella venivano sparati i fuochi pirotecnici. La distesa era detta ”palura”; dei pozzi di acqua termale, non profondi, disseminati nella piana, servivano anche ad irrigare la campagna circostante. Il lato più prossimo alla piazza veniva usato da “on Vittorio u sparatore”. Quell’anno, la festa fu animata da una quantità più assortita di fuochi d’artificio. Non mancarono alcuni componenti della banda musicale della marina americana per allietare il concerto. Un evento simile non s’era mai visto!Dopo lo svolgimento dei riti religiosi, la gente si riversò in piazza dove iniziò lo spettacolo eseguito dai militari americani al ritmo di boogy boogy che andava di gran moda. I giovani, travolti dalla novità e dalla voglia di dimenticare il recente passato, iniziarono a ballare in piazza intorno al palco: un delirio! Fra i gruppi c’erano quelli di Porto d’Ischia che erano particolarmente abili nei movimenti di questo nuovo ritmo. Tutto a un tratto, tra un’esecuzione e l’altra, si sentirono le grida disperate di una signora di Panza che piangeva a dirotto perché la borsetta, che conteneva i soldi raccolti fra i suoi compaesani per la festa, era caduta nel pozzo termale appena dietro il muretto dov’era seduta. Senza pensarci su, uno dei giovanotti presenti si calò nel pozzo per recuperarla e consegnarla alla donna singhiozzante. Ma la discesa gli fu fatale: come arrivò giù al fosso morì soffocato a causa dei vapori tossici sprigionati dalla polvere da sparo congiunti ai gas di zolfo delle fonti termali. Due ragazzi, uno di Lacco Ameno e l’altro di Casamicciola, scesero giù nel fosso con una scala di legno che un vicino aveva messo a disposizione. Chiamarono il loro amico che non rispondeva al loro richiamo. Purtroppo il corpo del giovane giaceva immobile con la borsetta fra le mani. Non ebbero nemmeno il tempo di chiedere aiuto che anche uno di loro perse la vita, investito dei gas tossici accumulatisi nella buca. Il terzo ragazzo, vista la difficoltà nel respirare, risalì velocemente la scala mettendosi in salvo. Mai festa fu più tragica e sconvolgente !

Questo racconto lo dedico all’amico d’infanzia Mimì (Domenico De Siano) mio coetaneo, perché conosco tutte le sue vicissitudini e so che quella di via Calosirto è l’unica casa che ha per abitare. Ha già perso la propria abitazione col terremoto dell’agosto 2017. Santa Restituta lo protegga!

Guai a disobbedire

Il padre aveva raccomandato a Totore di andare alla casa di Ninetta, al Fango, prendere una scatola e portarla a Montevico, al cimitero e consegnarla nelle mani di “mastu Papell”. Andare a piedi, arrampicarsi fin lassù, al Fango, da solo, Totore non ne aveva voglia allora chiamò il suo amico “Siluccio” per farsi accompagnare. I due, dalla Marina, s’incamminarono attraverso via Rosario fin su passando dalla chiesa dell’Assunta. Recarsi da un rione all’altro, all’epoca, non era facile perché c’erano sempre i ragazzi del rione acquattati dietro un muro o una baracca che t’avrebbero scaricato una sassaiola inaspettata, specialmente se c’era un conto da regolare fra bande opposte. Totore aveva una mira infallibile e girava sempre con la sua fionda, i ragazzi del quartiere lo conoscevano e si mantenevano lontano anche perché era forte e robusto; se poi avesse incontrato uno di loro in giro per la Marina l’avrebbe gonfiato di botte. Per questo motivo Siluccio non aveva niente da temere fino a quando stava in sua compagnia. Dopo aver attraversato lo slargo della chiesa dell’Assunta, la salita sarebbe stata più tranquilla. Era primo pomeriggio e il sole era al suo apice nel cielo. Così i due si rilassarono un poco vicino ad un arbusto di more, che erano già mature. Arrivati al Fango si recarono a destinazione, oltrepassarono il cancello e si avviarono lungo il viale verso la casa dove trovarono Ninetta che li attendeva. Li fece sedere e porse loro una scodella piena di prugne e albicocche da poco raccolte nell’orto davanti alla casa e una brocca d’acqua fresca, appena attinta dal pozzo. Siluccio nel giro di poco tempo, pulì il recipiente contenente la frutta. Con modi sbrigativi, la donna consegnò a Totore una scatola avvolta in parte in un pezzo di carta blu che era servita come custodia di spaghetti e un corda stinta che era un residuo di fune per stendere i panni per tenerne fermo il coperchio. La corda non aderiva bene e ogni tanto si allentava scendendo lateralmente dai bordi della scatola. Al ritorno, Siluccio insisteva di raggiungere il centro del paese per la strada più breve che sbucava direttamente alla Marina. Riprendere la strada che passava per via Rosario non aveva senso, era più lunga e meno sicura a causa dei bellicosi coetanei. Totore fu irremovibile: il motivo di quella decisione lo conosceva solo lui. Qualche mese prima era capitato un avvenimento poco piacevole. Era l’inizio del mese di maggio, un poco prima dei festeggiamenti della Santa Patrona di Lacco Ameno che ricorre il 17 maggio. Lungo la strada che portava alla località Fango esisteva un grande appezzamento di terreno con filari di fave di una qualità speciale e il proprietario lasciava i baccelli sulle piante senza raccoglierli. Li teneva sulla pianta un po’ più a lungo per seccarli al sole e fare provvista per l’inverno. Una volta i ragazzi della marina, altre volte quelli di altri rioni andavano a fare il “menale” (mangiata di contrabbando) in questo terreno. Capitò che Totore si trovava a raccogliere l’erba per i conigli proprio nella suddetta proprietà, con sé aveva una sacchetta di Juta che adoperava per riempirla d’erba. Mentre era intento a raccogliere, apparve il proprietario che gl’intimò di fargli vedere cosa aveva nel sacco altrimenti l’avrebbe sparato. Totore invece buttò il sacco al di là del muro e cercò di svignarsela scavalcandolo. In quel preciso momento, mentre era ancora curvo, don Umberto sparò un colpo col suo fucile a pallettoni caricato con una cartuccia colma di sale grosso, colpendo il malcapitato in pieno sedere. Il dolore fu terribile e lancinante, dovette faticare non poco per arrivare a casa. La povera mamma dovette estrarre ogni singolo pezzo con una pinzetta disinfettata sul fuoco. Il bruciore e il dolore fu enorme e Totore lo ricordava ancora. Per questo motivo voleva evitare a tutti i costi di passare davanti a quella proprietà.Ormai i due amici erano arrivati giù al paese e avevano intrapreso l’altra salita che li portava alla meta. Il cimitero sorgeva sulla punta estrema di Montevico, a picco sul mare, nella torre saracena usata dagli abitanti come rifugio durante le invasioni dei Turchi. Arrivati alla località “Preta chiana”, Siluccio, che aveva mangiato velocemente tutte le prugne offerte da Ninetta, ebbe un irrefrenabile stimolo di andar di corpo. Dopo di lui anche Totore dovette assolvere allo stesso bisogno. La scatola era adagiata sul bordo del muretto della strada, Siluccio moriva dalla voglia di togliere il coperchio per vedere cosa ci fosse dentro di tanto importante. La carta blu della pasta subito scivolò via e ci volle poco per spostare la fune che teneva il coperchio fermo. Con un piccolo movimento la scatola si aprì facilmente e Siluccio bianco dall’emozione e dalla paura emise un grido di spavento: “u murticiell…..! u murticiell….!” In un baleno fu nel centro del paese. Totore chiuse di nuovo il pacco e lo portò correndo, giusto in tempo, da “Papell” che stava per chiudere il cimitero.

Il ’68 a Londra !

Prima della pandemia covid-19 di tanto in tanto facevamo una rimpatriata con tutti gli amici che nel ’68 eravamo al Accounting Department del Savoy di Londra. Ho avuto tanti colleghi e amici durante la mia formazione all’estero ma con quelli del Savoy di Londra si creò un rapporto molto profondo che ci ha tenuti uniti per il resto della vita, ancora oggi. La maggior parte del gruppo era formata da ragazzi italiani provenienti da tutte le regioni, dal nord al sud dello Stivale. Non mancavano colleghi di tutto il mondo, dall’Australia all’India, dall’America all’Europa. Anche se ognuno di noi proveniva dagli angoli più disparati del globo, nei momenti di pausa di lavoro ci trovavamo seduti intorno allo stesso tavolo e ti rendevi conto di quanto il mondo fosse interessante e bello. Da considerare che con il mio gruppo d’amici italiani, in seguito, se non ci vedevamo di persona, date le distanze, ci sentivamo spesso per telefono o via e-mail. Il piacere di rivederci era sempre più forte. Ci raccontavamo sempre gli stessi episodi vissuti ogni qual volta ci incontravamo. Devo riconoscere che la nostra generazione è stata fortunata, si facevano sacrifici ma ne raccoglievi anche i frutti. Tutte le catene alberghiere erano in espansione e il personale del Savoy era particolarmente ricercato. C’erano offerte per giovani hotel managers per tutto il globo. Avere un certificato di lavoro del Savoy significava avere tutte le porte aperte e la precedenza. Molti dei miei colleghi si trasferirono nei posti più belli ed esclusivi del mondo per aprire nuovi alberghi delle grosse catene alberghiere americane: dagli Hilton agli Intercontinental , dagli Sheraton ai Marriott hotels e tante altre compagnie. Era l’epoca degli “hippie” o figli dei fiori. Un movimento nuovo che arrivava da San Francisco, California. In Europa, Londra fu la sede naturale. Si organizzavano marce contro le armi nucleari, la guerra nel Vietnam, si diffuse l’uso di stupefacenti, caddero tutti i tabù sessuali. Tutta la gioventù più girovaga del mondo passava per Londra. Londra divenne il centro del mondo. La Regina Elisabetta insignì col titolo di “Sir” i “Beatles”. L’Inghilterra faceva moda, forza più potente di qualsiasi arma. Mary Quant valorizzò le gambe non solo delle ragazze inglesi ma di tutto il mondo, mettendole in bella vista. Twiggy divenne il simbolo. L’agente segreto 007, James Bond, interpretato dall’indimenticabile Sean Connery, invase le sale cinematografiche di tutto il mondo.Erano momenti intensi e le ragazze erano alla ricerca di avventure uniche da raccontare. A volte sembrava che alle ragazze facesse piacere di sapere che noi ragazzi italiani appartenessimo a famiglie facoltose. Allora tutti noi ci costruivamo un albero genealogico fra i più ricercati. Gli amici di Venezia declamavano la loro discendenza direttamente da un doge. Quelli di Firenze dalla famiglia dei Medici, quelIi di Roma da un papa e io col mio “de” davanti al cognome non ero da meno. Ci gustavamo quello che la vita ci donava giorno per giorno. Il sabato sera era un delirio, si organizzavano party che iniziavano la sera per finire alle prime ore dell’alba. Io penso che aver vissuto il ’68 a Londra, nel pieno della gioventù, con la mente aperta al nuovo, non ci sia niente di più eccitante! Il Savoy è stato il primo albergo di lusso nato a Londra. L’albergo faceva parte del tessuto sociale della città londinese. Ricco di storia e adagiato sulle rive del Tamigi, sullo Strand, presso City of Westminster. Fu costruito sui resti di un castello appartenuto all’ordine dei cavalieri di Malta dall’impresario teatrale Richard D’Oyly Carte. Questi girò tutta l’America con la sua compagnia teatrale. Con i ricavi ottenuti dalle opere di Gilbert e Sullivan in giro per gli Stati Uniti, il 6 agosto del 1889 aprì il primo hotel di lusso in Inghilterra, in stile americano. Oltre ai vari saloni e ristoranti, l’hotel era dotato di un prestigioso teatro internamente al complesso. Nacque in epoca vittoriana, D’Oyly Carte chiamò a dirigere il suo Hotel l’astro nascente Cesare Ritz che in breve tempo fu soprannominato king of the king of hoteliers and the hotelier of kings (re degli albergatori e albergatore dei re). Il Principe del Galles diceva where Ritz goes we ‘ll follow him (dove Ritz va noi lo seguiremo).In cucina c’era il grande e prestigioso chef Auguste Escoffier, che rivoluzionò il lavoro della cucina istituendo le “partite” (parties) e ideò le figure come pâtissier, garde-manger, entremettier, rôtisseur e saucier, la cui impostazione esiste ancora oggi. L’albergo aveva più di 1700 unità di personale proveniente da tutto il mondo e io conoscevo una grande quantità di ragazze e ragazzi di tutte le razze. A fine settimana, per mantenermi ai corsi di lingua inglese presso un istituto privato, English Tuition Center in Oxford street, lavoravo come lift-man, dando il cambio ai ascensoristi durante le pause del lunch, tea time e dinner. Gli ascensori del Savoy erano antichissimi e venivano guidati a mano. Io penso che coloro che hanno vissuto il ’68 a Londra sono stati direttamente o indirettamente protagonisti del passaggio dal vecchio al moderno. Decisamente fu un periodo di ottimismo. Sono sicuro che i giovani che stanno vivendo in letargo questo momento, a breve, passata questa calamità, si sveglieranno più forti e vigorosi per inventare un nuovo Rinascimento!