Non c’erano soldi ma la voglia di divertirsi era tanta
specialmente durante l’estate. Sulla spiaggia era severamente vietato giocare a
pallone, c’era ‘on Giuseppe a uardia che, come un cerbero, ti sequestrava la
palla.
Allora ci inventavamo tanti giochi
che non si praticano più. Noi di Lacco passavamo la nostra giornata fra il
pontile, gli scogli e la spiaggia.
Mi ricordo di una filastrocca
che mia sorella cantava ai suoi figli a mo’ di ninna nanna:
“Lucciola, lucciola, vien da
me!
Ti darò pane da re,
ti darò pan da regina,
lucciola, lucciola maggiolina”.
Queste strofe le ripetevano le
ragazze facendo largo nella sabbia per trovare le coccinelle.
Altro passatempo era fare
delle piste tortuose e lunghe nella sabbia. Facevamo dei veri tornei che
duravano un intero pomeriggio. A questo scopo uno dei ragazzi si sedeva per
terra e un altro lo tirava per i piedi, zig-zagando. Durante il percorso si
creavano gli ostacoli con delle piccole buche oppure dei piccoli dossi di
sabbia, per renderlo più difficoltoso. Alla fine della pista veniva scavata una
piccola buca dove arrivava la pallina che era fatta di pietra pomice
tondeggiante. Vinceva chi arrivava, spingendo la pallina, per primo alla buca
finale. Il tiro iniziale consisteva in un pizzicotto alla pallina, doveva
essere ben regolato per non finire fuori dal tracciato o nelle buche create
come ostacolo. Quando trovavamo una fune disponibile praticavamo anche il tiro
alla fune con le bestemmie dei pescatori o degli ormeggiatori a cui apparteneva
la corda.
Un altro divertimento era
quello in cui facevamo più buche nella sabbia profonde 30/40cm e larghe 30, con
degli escrementi nel fondo. Mettevamo delle cannucce sopra la buca che
coprivamo con un pezzo di giornale e sopra di esso della sabbia. Ci nascondavamo
lontano aspettando che qualcuno ci cascasse dentro con grande sollazzo di tutti
noi.
Ognuno di noi aveva un arco
fatto coi ferri degli ombrelli dismessi. Era già molto raro trovare un ombrello
rotto, se ne trovavi uno coi ferri che sostenevano la stoffa ti liberavi di questa
e ne ricavavi un arco legato con un filo di nylon. La freccia era rappresentata
da un altro ferro di quelli più piccoli dell’ombrello. Con questo attrezzo si
andava a caccia fra gli scogli. Questo “sport” era alquanto pericoloso perché
se sbagliavi la mira potevi ferire qualcuno.
Un altro passatempo era
mettere sul fondale nella sabbia, fra gli scogli, dei barattoli di latta vuoti oppure
delle anfore rotte, con dentro sassolini bianchi o straccetti di colore bianco
per attirare i polpi. Essi venivano incuriositi dall’oggetto bianco che si
muoveva col moto dell’onda e attirati nel contenitore. Noi prontamente con la
mano ostruivamo l’uscita, imprigionando il malcapitato.
Un altro tipo di “caccia”
veniva praticato con un panno bianco sostenuto da due ragazzi, uno da un lato e
uno dall’altro, che lo strisciavano sulla sabbia. Catturavamo i “mazzoni” che
sono dei pesciolini che stanno sempre a riva, dove il mare incontra la sabbia.
La pesca era sempre produttiva, non venivi mai deluso. Gli scogli antistanti il
faro, dove oggi sorge un complesso di palafitte, al Capitello, erano popolati da
granchietti, cavallucci marini e gamberetti. Con un retino artigianale ottenuto
da un residuo di rete a maglia stretta, fissato vicino a un ramo di vimini a
mo’ di cerchio, grattavamo il muschio attaccato agli scogli catturando una
grande quantità di pesciolini. Questi venivano cotti nelle polle bollenti
d’acqua termale che erano disseminate fra gli scogli all’asciutto.
Dal fondo del mare venivano in
superficie sempre delle bollicine: i pescatori anziani dicevano che erano i
pesci che respiravano. Con la costruzione delle scogliere questo fenomeno è
scomparso, non si è più notato nello specchio d’acqua davanti al “Fungo”.
Nella spiaggia antistante il ristorante
Marietta facevamo delle buche nella battigia molto larghe, poco profonde dove
trovavamo dei vermi che erano l’esca pià appetitosa. Con una canna di bambù unita
a un filo di nylon che reggeva un piombino e un amo costruivamo un attrezzo da
pesca. Eravamo armati anche di fiocine fatte con forchette ben appuntite.
Il divertimento più audace era
andare “nell’arrotamento” che produceva la motonave chiamata “la Passeggiata”. Essa
partiva dal pontile di Lacco Ameno, a mezzogiorno. Noi ragazzi aspettavamo che
la nave, tolti gli ormeggi, a motore spento si allontanasse dal molo e la
seguivamo con la disperazione dei marinai che sbraitavano urlando di stare
lontani perché le eliche avrebbero potuto stritolarci. Noi sapevamo come funzionava
e ci mettevamo a dovuta distanza in modo che entravamo nel rifrullo prodotto
dalla motonave ma abbastanza lontani per non essere presi dentro e godere a
lasciarti traspostare lontano dall’azione del motore.
Un altro gioco praticato sulla spiaggia era il rubabandiera che consisteva
nel tirare una linea che rappresentava il punto di divisione fra un campo e l’altro.
Al centro c’era un giudice che reggeva la bandiera o fazzoletto. I due
contendenti dovevano rubare il fazzoletto e portarlo al proprio campo senza
farsi toccare dall’avversario.
Eravamo fortunati per aver
tanto spazio a disposizione. Oggi i posti di ritrovo sono ridotti e i ragazzi
non hanno più spazio dove sfogarsi. Oltre alle spiagge sono state sottratte
persino le scogliere.
I giochi erano molteplici, molti adesso mi sfuggono. Non meno
divertenti erano le gare di tuffi che potevano variare per la distanza dal
punto in cui ti lanciavi, per l’altezza da cui si saltava e il tipo di tuffo. Passavamo intere giornate insieme
bisticciandoci e divertendoci nelle stesso tempo, così maturavamo e crescevamo.
Sicuramente c’era bullismo ma si superava senza conseguenze!