Auguri di Buon Natale

Auguri di un Natale pieno di gioia, di armonia e salute a tutti gli amici di FB

Dicembre era il mese invernale per eccellenza. La vita dell’isola d’inverno scorreva lenta con tutte le sue tradizioni. Le manifestazioni natalizie erano le più sentite dal popolo ischitano. Al calar del sole mamma mi chiamava dal balcone dicendo che si era fatto notte e dovevo rientrare. Una settimana dopo le celebrazioni della festa dell’Immacolata iniziava la novena di Natale.
Con le mie sorelle e altri ragazzi andavamo nel bosco di Don Luigi Ciannelli per procurarci dei rami sempreverdi di mirto e riempivamo col muschio cassettine di legno con cui le nostre madri, assieme a noi piccoli, ornavano il presepe. La scatola dei pastori veniva ripresa dal fondo di un vecchio baule con tutte le statuine che erano sempre le stesse, molto espressive, di terracotta (non esistevano ancora quelle infrangibili). Nel nostro presepe non c’era un pastore tutt’intero, erano tutti monchi: a chi mancava un braccio, a chi la testa, a chi la mano per non parlare dei re magi i cui cavalli erano ridotti senza gambe. In compenso il lavoro era molto partecipato perché usavamo la cera liquida delle candele come collante e “azzeccavamo” i pezzi staccati.
Al mattino presto, alle 5 del mattino, con lo sparo della “botta” che faceva da sveglia, mia madre si alzava per andare alla messa della novena che si celebrava nella chiesa di Santa Restituta. Qualche volta ho partecipato anche io, mezzo addormentato e morto di freddo, rimanevo incantato dai canti natalizi. Dopo la funzione, tornati a casa, mi infilavo di nuovo a letto. Un rumore di passi pesanti annunziava l’arrivo degli zampognari che venivano a suonare davanti all’immagine di Gesù Bambino che mamma metteva in esposizione, vicino ai vetri, per l’occasione. Gli zampognari provenivano dal Molise e portavano come regalo un lungo cucchiaio di legno, usato poi per tutto l’anno. Durante il periodo natalizio l’atmosfera nel rione era molto calda e festosa. La sera in ogni casa si giocava a tombola e si sentivano gli schiamazzi e le risate per il commento dei numeri estratti della smorfia napoletana che venivano collegati a frasi allusive dai più smaliziati, in genere quelli più avanti in età.
Il gioco con le nocciole era il preferito nel periodo natalizio. I ragazzi giocavano con le nocciole a “castello”. Questo divertimento consisteva nel mettere a terra tre nocciole vicine fra loro e una quarta messa sulle tre; ogni giocatore ne metteva 4 a terra e poi da lontano, con una nocciola più pesante che fungeva da pallino, si doveva abbattere più castelli possibile. Le ragazze giocavano sempre con le nocciole “alla fossa”. In genere i partecipanti erano in grande numero, insieme alle ragazze c’erano anche persone adulte. Il gioco consisteva nell’avvicinare le nocelle il più possibile alla buca. Quando tutte le nocciole stavano intorno alla fossa bastava un grido: “abbàraone!” e tutti si lanciavano sulle nocciole. Silvestro di Norina con il suo vocione era uno specialista. Le ragazze, come lo vedevano apparire, già si preparavano a lanciarsi nella mischia per accaparrarsi più nocciole, con risate, spintoni e capriole per terra. Durante la ricorrenza natalizia si ufficializzavano i fidanzamenti tenuti “nascosti” per mesi o anni mentre altri nuovi sbocciavano.

Nella mia famiglia i preparativi erano febbrili, come in tutte le famiglie, qualche parente mangiava con noi il giorno di Natale. E che dire dei dolci natalizi, dalle paste reali alle cassatine, dai “mustaccioli” ai “susamielli”, ai “roccocò” ricchi di nocciole e bucce di mandarino che mia sorella maggiore, assieme ad altre ragazze, preparavano in casa e poi andavano al forno di “Mammin” a cuocere. Tutto ciò che si era conservato in estate veniva consumato in questo periodo: dai dolci fichi del contadino messi ad essiccare pazientemente al sole, alle varie verdure conservate sott’olio, dalle conserve di pomodoro ai dolcissimi pomodori “appesi”. Il vino d’annata veniva spillato e venduto direttamente nelle cantine.

La sera del 24 si “rappresentava” il Bambinello con il canto del Te Deum, si usciva in processione dalla casa con tutti i parenti con l’accompagnamento dei tric-trac e dei bengalini. Al rientro i più piccoli, in piedi sulla sedia, dovevano recitare la poesia di Natale, imparata a scuola, la ricordo ancora:

Ho sognato che il Bambino
venne presso il mio lettino
e mi disse dolcemente:
“Per Natale vuoi niente?”
Io pensai per prima cosa
a te mamma sì amorosa
a te babbo, buono tanto,
e gli dissi: “Gesù santo,
babbo e mamma benedici,
fa’ che sempre sian felici!”

Si stava tutti insieme fino all’ora di andare a messa ad assistere a quella di mezzanotte.
Dopo la celebrazione, accompagnato da motivi natalizi, veniva portato il “Santissimo” in processione per la Marina del paese con scoppi di “tric-trac” e coloratissimi fuochi d’artificio. Non mancava il rituale falò che sprigionava faville scoppiettando verso il cielo. Così vampate di calore si spandevano durante il rientro della processione. A fine cerimonia nascevano spontanei abbracci e baci con scambi di Auguri di buon Natale fra tutti i presenti. In questo momento svanivano vecchi rancori. E’ il caso di dire che il Natale rendeva tutti più buoni!

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